domenica 5 maggio 2013

Il Discorso del Presidente


Il Discorso del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione del suo giuramento davanti al Parlamento, costituirà, per valenza ideale ed insegnamento politico istituzionale, oggetto di riflessione sistematica nel corso degli anni. Sono stati giustamente evidenziati i toni rigorosi con cui il Presidente si è rivolto alla classe politica, denunciandone la sordità; tuttavia, nel Discorso non ci sono solo questo rigore e questa “sferzata”. In esso si dipana un lungo itinerario di sapienza della polis, dispiegando capacità di interpretare le istituzioni e la vita democratica delle stesse. “Sentendo voi tutti – onorevoli deputati e senatori – di far parte dell’istituzione parlamentare non come esponenti di una fazione ma come depositari della volontà popolare. C’è da lavorare concretamente, con pazienza e spirito costruttivo, spendendo e acquisendo competenze, innanzitutto nelle Commissioni di Camera e Senato. Permettete che ve lo dica uno che entrò qui da deputato all’età di 28 anni e portò giorno per giorno la sua pietra allo sviluppo della vita politica democratica”. Qui la voce del Presidente si è rotta per l’emozione. E’ la centralità del Parlamento! Questa centralità ed autorevolezza vanno assolutamente recuperate come espressioni della libera capacità di confronto e mediazione (per la quale non si dovrebbe provare orrore) e, prima ancora, come libera rappresentanza dell’autentica volontà popolare. Per tutto ciò, un Parlamento di nominati è veramente non concepibile, se non come uno scempio. “La mancata revisione di quella legge (porcellum, ndr) ha prodotto una gara accanita per la conquista, sul filo del rasoio, di un abnorme premio, il cui vincitore ha finito per non riuscire a governare una simile sovra-rappresentanza in Parlamento. Ed è un fatto, non certo imprevedibile, che quella legge ha provocato un risultato elettorale di difficile governabilità, e suscitato nuovamente frustrazione tra i cittadini per non aver potuto scegliere gli eletti.”  Secondo noi, non è solo questione di porcellum, ma di una modalità di intendere la politica come lotta, senza esclusione di colpi, tra “colossi armati”, fino al loro reciproco auto- annullamento. Si tratta di una distorsione della dialettica democratica iniziata ben prima del porcellum. E’ la tragica illusione dei partiti unici contrapposti, attraverso cui una super casta (il Partito intellettuale, ossia il rigorismo giustizialista supportato da leve giornalistiche, finanziarie e giudiziarie) ha preteso di modernizzare la democrazia italiana. “Non c’è oggi in Europa nessun Paese di consolidata tradizione democratica governato da un solo partito – nemmeno più il Regno Unito – operando dovunque governi formati o almeno sostenuti da più partiti, tra loro affini o abitualmente distanti e perfino aspramente concorrenti. Il fatto che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse è segno di regressione…. O forse tutto questo è più concretamente il riflesso di un paio di decenni di contrapposizione – fino allo smarrimento dell’idea stessa di convivenza civile – come non mai faziosa e aggressiva, di totale incomunicabilità tra schieramenti politici concorrenti.” E’ un’osservazione capitale, che dovrebbe essere tenuta ben presente quando il Parlamento si accingerà ai lavori per le riforme istituzionali. Salutando i rappresenti delle Regioni il Presidente della Repubblica ha richiamato il valore permanente delle istituzioni più vicine ai cittadini: “istituzioni che ascolto e rispetto, in quanto portatrici di una visione non accentratrice dello Stato, già presente nel Risorgimento e da perseguire finalmente con serietà e coerenza”. Si tratta di un tema da sviluppare con particolare attenzione, nella consapevolezza che in queste istituzioni si gioca la partita democratica decisiva, rinnovando, sul piano culturale, la grande tradizione di pensiero delle Autonomie Locali e conseguentemente attuando, sul piano politico, innovative forme di associazionismo interistituzionale, per la valorizzazione delle politiche di governance. “Finchè le forze me lo consentiranno”, ha affermato il Presidente facendo riferimento alla sua assunzione di responsabilità, in forma eccezionale, benché pienamente costituzionale, alla luce della gravità della situazione della Nazione. Il pensiero immediatamente è andato a Benedetto XVI, al suo gesto di libertà e di amore alla Chiesa e all’umanità, al suo Magistero sulla democrazia delicata, al suo senso delle mediazioni nella vita della polis come forme di carità. Il Presidente della Repubblica Italiana ed il Romano Pontefice Emerito: una delicatezza di rapporto, quasi un accompagnarsi reciproco; uno stile ed un metodo di comunicazione:  dualità (non dualismo) dei compiti, comune apertura e responsabilità della ragione. Abbiamo sinceramente applaudito quando il Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, don Julian Carron, ha letto il telegramma di felicitazioni al Presidente Napolitano, per l’avvenuta rielezione: “Comprendendo il peso enorme della nuova responsabilità, Le auguriamo di ottenere ciò per cui ha accettato questo grande sacrificio”. Emozione che si è rinnovata quando il Presidente ha ricordato il suo stesso monito, “parlando a Rimini ad una grande assemblea di giovani nell’agosto del 2011”, per richiamare “l’impegno a trasmettere piena coscienza di quel che l’Italia e gli italiani hanno mostrato di essere in periodi cruciali del loro passato… Ecco, posso ripetere quelle parole di un anno e mezzo fa, sia per sollecitare tutti a parlare il linguaggio della verità – fuori di ogni banale distinzione e disputa tra pessimisti e ottimisti – sia per introdurre il discorso su un insieme di obbiettivi in materia di riforme istituzionali e di proposte per l’avvio di un nuovo sviluppo economico, più equo e sostenibile”. Riforme istituzionali oltre il bipolarismo manicheo e nuove politiche di sviluppo, “per creare e sostenere il lavoro, per potenziare l’istruzione e il capitale umano, per favorire la ricerca, l’innovazione e la crescita delle imprese”, valorizzando e promuovendo il patrimonio di intrapresa di cui è fatto il genio degli italiani, in particolare dei giovani, nel contesto di un’autentica vocazione europeista e, quindi, di un rinnovato impegno meridional-mediterraneo. E’ il Discorso del Presidente: la capacità di guardare nel profondo, intraprendendo percorsi ragionevoli e realistici, per il bene comune. “Inizia oggi per me questo non previsto ulteriore impegno pubblico in una fase di vita già molto avanzata; inizia per voi un lungo cammino da percorrere con passione, con rigore, con umiltà.” Oltre l’ideologia, dentro l’ideale che ciascuno intuisce come vero per sé e gli altri. Con umiltà, senza la presunzione di sentirsi giudici di tutto e di tutti, e con ironia, cioè con senso del distacco e del proprio limite. Grazie, Presidente!                 

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