Il
Discorso del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione del suo
giuramento davanti al Parlamento, costituirà, per valenza ideale ed
insegnamento politico istituzionale, oggetto di riflessione sistematica nel
corso degli anni. Sono stati giustamente evidenziati i toni rigorosi con cui il
Presidente si è rivolto alla classe politica, denunciandone la sordità;
tuttavia, nel Discorso non ci sono solo questo rigore e questa “sferzata”. In
esso si dipana un lungo itinerario di sapienza della polis, dispiegando capacità
di interpretare le istituzioni e la vita democratica delle stesse. “Sentendo
voi tutti – onorevoli deputati e senatori – di far parte dell’istituzione
parlamentare non come esponenti di una fazione ma come depositari della volontà
popolare. C’è da lavorare concretamente, con pazienza e spirito costruttivo,
spendendo e acquisendo competenze, innanzitutto nelle Commissioni di Camera e
Senato. Permettete che ve lo dica uno che entrò qui da deputato all’età di 28
anni e portò giorno per giorno la sua pietra allo sviluppo della vita politica
democratica”. Qui la voce del Presidente si è rotta per l’emozione. E’ la
centralità del Parlamento! Questa centralità ed autorevolezza vanno
assolutamente recuperate come espressioni della libera capacità di confronto e
mediazione (per la quale non si dovrebbe provare orrore) e, prima ancora, come
libera rappresentanza dell’autentica volontà popolare. Per tutto ciò, un
Parlamento di nominati è veramente non concepibile, se non come uno scempio. “La
mancata revisione di quella legge (porcellum, ndr) ha prodotto una gara
accanita per la conquista, sul filo del rasoio, di un abnorme premio, il cui
vincitore ha finito per non riuscire a governare una simile sovra-rappresentanza
in Parlamento. Ed è un fatto, non certo imprevedibile, che quella legge ha
provocato un risultato elettorale di difficile governabilità, e suscitato
nuovamente frustrazione tra i cittadini per non aver potuto scegliere gli
eletti.” Secondo noi, non è solo questione
di porcellum, ma di una modalità di intendere la politica come lotta, senza
esclusione di colpi, tra “colossi armati”, fino al loro reciproco auto- annullamento.
Si tratta di una distorsione della dialettica democratica iniziata ben prima del
porcellum. E’ la tragica illusione dei partiti unici contrapposti, attraverso
cui una super casta (il Partito intellettuale, ossia il rigorismo giustizialista
supportato da leve giornalistiche, finanziarie e giudiziarie) ha preteso di
modernizzare la democrazia italiana. “Non c’è oggi in Europa nessun Paese di
consolidata tradizione democratica governato da un solo partito – nemmeno più
il Regno Unito – operando dovunque governi formati o almeno sostenuti da più
partiti, tra loro affini o abitualmente distanti e perfino aspramente
concorrenti. Il fatto che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni
ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche
diverse è segno di regressione…. O forse tutto questo è più concretamente il
riflesso di un paio di decenni di contrapposizione – fino allo smarrimento
dell’idea stessa di convivenza civile – come non mai faziosa e aggressiva, di
totale incomunicabilità tra schieramenti politici concorrenti.” E’
un’osservazione capitale, che dovrebbe essere tenuta ben presente quando il Parlamento
si accingerà ai lavori per le riforme istituzionali. Salutando i rappresenti
delle Regioni il Presidente della Repubblica ha richiamato il valore permanente
delle istituzioni più vicine ai cittadini: “istituzioni che ascolto e rispetto,
in quanto portatrici di una visione non accentratrice dello Stato, già presente
nel Risorgimento e da perseguire finalmente con serietà e coerenza”. Si tratta
di un tema da sviluppare con particolare attenzione, nella consapevolezza che in
queste istituzioni si gioca la partita democratica decisiva, rinnovando, sul
piano culturale, la grande tradizione di pensiero delle Autonomie Locali e
conseguentemente attuando, sul piano politico, innovative forme di
associazionismo interistituzionale, per la valorizzazione delle politiche di
governance. “Finchè le forze me lo consentiranno”, ha affermato il Presidente
facendo riferimento alla sua assunzione di responsabilità, in forma
eccezionale, benché pienamente costituzionale, alla luce della gravità della
situazione della Nazione. Il pensiero immediatamente è andato a Benedetto XVI,
al suo gesto di libertà e di amore alla Chiesa e all’umanità, al suo Magistero
sulla democrazia delicata, al suo senso delle mediazioni nella vita della polis
come forme di carità. Il Presidente della Repubblica Italiana ed il Romano Pontefice
Emerito: una delicatezza di rapporto, quasi un accompagnarsi reciproco; uno
stile ed un metodo di comunicazione: dualità (non dualismo) dei compiti, comune
apertura e responsabilità della ragione. Abbiamo sinceramente applaudito quando
il Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, don Julian Carron,
ha letto il telegramma di felicitazioni al Presidente Napolitano, per l’avvenuta
rielezione: “Comprendendo il peso enorme della nuova responsabilità, Le
auguriamo di ottenere ciò per cui ha accettato questo grande sacrificio”. Emozione
che si è rinnovata quando il Presidente ha ricordato il suo stesso monito, “parlando
a Rimini ad una grande assemblea di giovani nell’agosto del 2011” , per richiamare
“l’impegno a trasmettere piena coscienza di quel che l’Italia e gli italiani
hanno mostrato di essere in periodi cruciali del loro passato… Ecco, posso
ripetere quelle parole di un anno e mezzo fa, sia per sollecitare tutti a
parlare il linguaggio della verità – fuori di ogni banale distinzione e disputa
tra pessimisti e ottimisti – sia per introdurre il discorso su un insieme di
obbiettivi in materia di riforme istituzionali e di proposte per l’avvio di un
nuovo sviluppo economico, più equo e sostenibile”. Riforme istituzionali oltre
il bipolarismo manicheo e nuove politiche di sviluppo, “per creare e sostenere
il lavoro, per potenziare l’istruzione e il capitale umano, per favorire la
ricerca, l’innovazione e la crescita delle imprese”, valorizzando e promuovendo
il patrimonio di intrapresa di cui è fatto il genio degli italiani, in
particolare dei giovani, nel contesto di un’autentica vocazione europeista e,
quindi, di un rinnovato impegno meridional-mediterraneo. E’ il Discorso del
Presidente: la capacità di guardare nel profondo, intraprendendo percorsi
ragionevoli e realistici, per il bene comune. “Inizia oggi per me questo non
previsto ulteriore impegno pubblico in una fase di vita già molto avanzata;
inizia per voi un lungo cammino da percorrere con passione, con rigore, con
umiltà.” Oltre l’ideologia, dentro l’ideale che ciascuno intuisce come vero per
sé e gli altri. Con umiltà, senza la presunzione di sentirsi giudici di tutto e
di tutti, e con ironia, cioè con senso del distacco e del proprio limite. Grazie,
Presidente!

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