Scriviamo questo editoriale, in occasione del 23.mo
anniversario della dipartita di mio padre, l’ultimo democristiano-popolare
delle Autonomie Locali, per ricordare, a distanza di oltre sei mesi dalla sua
morte, Giulio Andreotti. E’ un “piccolo saggio”, quasi corrispondendo, a
distanza di molti anni, al volere di Oriana Fallaci: “Ci vorrebbe un saggio su
Andreotti”.
Andreotti e
il Vaticano
Rino Formica, scrisse di lui: “Più il tempo passa, e
più mi convinco che Andreotti è un extraterreno. Noi socialisti l’abbiamo
sempre giudicato sulla base dei fatti. Questo è un bene, questo è un male. Non
avevamo colto la sua appartenenza a un filone culturale e di pensiero che ha
reso immortale la Chiesa. In
cui ci sono duemila anni di storia. Ci sono il sacrificio di Cristo, la papessa
Giovanna, i Borgia, l’Inquisizione, la diplomazia”.
Scrisse Oriana Fallaci: “Frequenta i Papa con la
disinvoltura di un Segretario di Stato”. Perciò, Francesco Cossiga dirà: “E’ un
grande statista del Vaticano. Il segretario di Stato permanente della Santa
Sede, da Pio XII a Giovanni Paolo II. Mai visto un uomo con tali capacità di
governo. Crocianamente, per lui come per la Chiesa , l’unica moralità della politica consiste
nel saperla fare”. “Ci sarebbe da comporre un saggio su Giulio Andreotti, continuava
la Fallaci. Un
saggio affascinante e inquietante, perché tutto ciò che egli è va ben oltre il
caso di un individuo. Rappresenta un’Italia. L’Italia cattolica, democristiana,
conservatrice, contro cui tiri pugni che feriscono le tue nocche e basta.
L’Italia di Roma con il suo Vaticano, il suo scetticismo, la sua saggezza, la
sua capacità di sopravvivere, sempre, di cavarsela, sempre, sia che vengano i
barbari sia che vengano i marziani: tanto li porti tutti in San Pietro, a
pregare”.
“Tutta la biografia di Andreotti fa pensare più che a
un politico devoto al Vaticano, ad un uomo della Chiesa mandato tra i laici con
una missione, ha scritto recentemente Michele Gambino. Una sorta di Papa laico,
o Papa nero, viste le molte ombre della sua vita. Un uomo cui la Chiesa ha affidato un
compito che sembra prescindere dai numerosi incidenti di percorso con la
giustizia terrena di cui è disseminata la strada del senatore a vita. Al punto
che il 30 aprile del 1999, subito dopo la richiesta di condanna all’ergastolo
pronunciata a Perugia dal pubblico ministero del delitto Pecorelli, in diretta
televisiva mondiale (in occasione della canonizzazione di Padre Pio, N. d. A.)
Papa Wojtila benedisse il senatore a vita, e si fermò ostentatamente a parlare
con lui. “Sono cose che tengo per me”, dirà il senatore ai cronisti che gli
chiedono di quello scambio di battute. Tanto il mondo ha visto, e il segnale è
chiaro: mafia, delitti, giudici e tribunali, non importa. Andreotti è sempre
nel cuore del Papa e della Santa Sede”. Il Cardinale Tonini affermò: “Ascoltava
il Papa e il Papa lo ascoltava”. “Ma qual è la missione che Andreotti ha svolto
come fedele servitore della Chiesa per più di mezzo secolo?” Questa la risposta
di Gambino: “L’anticomunismo certamente, quel tenere la barra della Democrazia
Cristiana sempre puntata verso il centrodestra, contro le tentazioni di
alleanze a sinistra e di aperture sociali dei dorotei e di Moro, anche se alla
fine sarà lui, Andreotti, a comporre il primo governo con l’appoggio esterno
del PCI, in nome della realpolitik. Ma c’è sicuramente dell’altro, una funzione
di rappresentanza più articolata e profonda. Trascendente. Quel filone
culturale e di pensiero che ha reso immortale la Chiesa , di cui parla
Formica.” Una funzione di rappresentanza
trascendente; oltre, trascendente le stesse ambizioni politiche (Presidenza
della Repubblica?!) di un cavallo di razza.
Il Vaticano per lui viene fisicamente da lontano.
Cresce, dopo la morte di suo padre, con una zia, che ventenne, sul finir del
potere temporale della Chiesa, incrociava di frequente Pio IX durante le
passeggiate del Papa. Adolescente, infilatosi ad un’udienza di Pio XI, vide il
Papa piangere per le critiche ricevute dopo la firma del concordato con il
regime fascista. Per De Gasperi, che ebbe rapporti difficili con Pio XII, era
la chiave per interloquire con Papa Pacelli. Del Cardinale Roncalli, Patriarca
di Venezia, preannunciò, a mezzo stampo, con la sua rivista “Concretezza”,
l’elezione al soglio pontificio. Paolo VI lo indicò a De Gasperi. Il legame con
Montini è stato profondo. Nei giorni del sequestro Moro caldeggiò la trattativa
segreta perseguita dallo stesso Pontefice. Nessuno lo dice, ma in una lettera
dal “carcere” Moro gli diede il compito di essere il “tramite” con la sua
famiglia. “Qualcosa”, “qualcuno” fece cambiare idea ai brigatisti, perché in
quel 9 maggio allo stesso Moro era apparsa imminente la liberazione. Nel
prosieguo della storia il terrorismo fu sconfitto, “ma non sono riuscito a
salvare Aldo”. Per Cossiga è l’inventore della ostpolitik con il Cardinal
Casaroli. La storia dirà sui rapporti tra Andreotti e Giovanni Paolo II e sulla
comune opera a favore di Solidarnosc, per la libertà della Polonia. Accadde che
tutto l’est europeo fu terremotato. Nel 2001, in un testo breve, raccontò che un Papa, immaginato e prefigurato con il nome di Benedetto XVI,
avrebbe aperto nuove frontiere con la
Cina , universo decisivo per il futuro dell’umanità. Andreotti
ha facilitato (come compito specifico e prioritario della sua missione) il
continuo avvicinamento tra Santa Sede e Cina, favorendo la libertà dei
cristiani, sull’esempio del grande gesuita Matteo Ricci.
In politica estera, perseguendo l’equivicinanza tra israeliani
e palestinesi è stato l’interlocutore privilegiato delle loro “ragioni
contrapposte”. A Roma favorì la costruzione della moschea; dopo l’attacco alle
torri gemelle e i nefasti pericoli di guerra, per l’incalzare dello scontro di
civiltà, accompagnando la politica internazionale di Giovanni Paolo II, ha contribuito
a preservare le condizioni di pace e di sicurezza per il nostro Paese. Nel 2002,
quando i guerriglieri palestinesi si asserragliarono nella Basilica della
Natività, circondata dai carri armati israeliani, facilitò la loro fuoriuscita,
intercettando informazioni e messaggi (“sono stato semplicemente il
centralinista”), contribuendo, così, in maniera decisiva, a liberare dal sangue
e dalla rovina il luogo più caro alla cristianità. Evidentemente è impossibile
sintetizzare la politica estera di Andreotti, che si è dispiegata in i Paesi
del mondo, con un apporto determinante alla costruzione dell’Europa (sua la
firma al Trattato di Maastricht). Per gli Stati Uniti è stato un amico libero,
non omologabile; colui che versò l’acqua nel bicchiere di Craxi, mentre il capo
socialista e del governo parlava alla Camera su caso Sigonella. Secondo Gennaro
Acquaviva, il consigliere di Craxi per i rapporti con il Vaticano, fu un gesto
simbolico nella liturgia andreottiana. Massimo Franco ha scritto che Andreotti
è stato il meccanismo pensato e strutturato per impedire la deflagrazione della
guerra fredda. Meccansimo che ha esaurito, secondo Franco, la sua funzione con
il crollo del muro di Berlino. In verità, Andreotti ha perpetuato il meccanismo
che ha potenziato il trialogo tra le grandi religioni monoteiste, onde evitare,
agli inizi del nuovo millennio, il deflagrare, per certi versi ancor più
pericoloso, dello “scontro di civiltà” tra occidente ed islamismo.
Andreotti dirà: “Passano
i governi, ma non passa la grande politica estera”.
Così, passarono i partiti della prima Repubblica e
passarono anche i processi a suo carico. Lui, inossidabile, tesseva la lunga
tela. “Non è morto, fa il morto”, scrisse di lui il grande Montanelli.
La breccia
nel muro del bipolarismo manicheo
Negli anni della seconda Repubblica, sul piano
strettamente politico e parlamentare, Andreotti, con tentativi politici ironici
e la sua sapienza parlamentare, ha aperto una breccia nel muro del “bipolarismo
manicheo”. Per primo votò Napolitano alla Presidenza della Repubblica (alla prima
votazione Napolitano, nel 2006, riportò un solo voto, quello di Andreotti),
dispiegando, nel tempo, “modalità intermedie”, contingenti e provvisorie, tra
gli opposti schieramenti (la fondazione di Democrazia Europea, la costituzione
del Gruppo delle Autonomie al Senato, la movimentazione parlamentare del Gruppo
dei senatori a vita, l’attività in seno alla Commissione Affari Esteri), per
ricreare un clima istituzionale di dialogo e civile confronto, oltre il muro
bipolarista. Pian piano, altri si introdotti nel varco andreottiano, fino
all’evolversi, sebbene in forme precarie, delle condizioni per intese più ampie,
allungando, come sta accadendo in questi giorni, il ponte di moderazione, di
solidarietà e responsabilità nazionale. “Andreotti ha chiuso gli occhi in
pace”, ha detto Travaglio, facendo riferimento affermarsi di condizioni
politiche più andreottiane, ovvero meno estreme: evidentemente, nel linguaggio
di Travaglio, in senso negativo. Il senatore a vita aveva detto a Massimo
Franco: “Non mi piacciono le biografie da vivo. Però capisco che ci si occupi
della mia vita. In fondo, in un certo senso io sono postumo di me stesso”. In
vita, postumo di se stesso: raro privilegio.
Andreotti e
la nuova frontiera dell’impegno politico dei cattolici
La fine del “partito cattolico”, nella visione di
Andreotti, ha rappresentato un’opportunità. E’ stata l’occasione per ripensare
la presenza politica dei cattolici nella vita del Paese ancorandola a tre
colonne fondamentali: la politica estera, la nuova laicità, le Autonomie
Locali.
Sulla prima abbiamo sommariamente già detto. Rimane
l’impegno per il cattolico di distendere la diplomazia non solo politica, ma
anche e soprattutto culturale, promuovendo momenti e luoghi di dialogo, anche
in forma lapiriana, per la pace nel mondo. Sulla terza approfondiremo in altra
sede. Per il momento ci soffermiamo sul concetto, caro a Benedetto XVI, di
nuova, ovvero originaria, laicità positiva. Il senatore a vita invitò il
Cardinale Ratzinger al Senato, per una lezione sul potere e la Grazia in S. Agostino. A
conclusione dell’incontrò affermò con la sua ironia portatrice di stile e di
contenuti: “Abbiamo ascoltato il Professor Ratzinger e il Cardinal Pera (allora
Presidente del Senato), per significare l’approccio squisitamente razionale e
laico di Ratzinger rispetto ad una visione più “ecclesiastica”. Al centro della
riflessione, per un diverso impegno politico dei cattolici, non la formazione
di una nuova forza partitica, ma il rapporto tra natura e Grazia, tra Chiesa e
Stato, tra legge naturale e legislazione statuale. Lungo questa frontiera, la lezione
del “Professor” Ratzinger e il realismo politico di Andreotti conducono oltre
il “bipolarismo etico”, che ha trovato e trova autorevoli consensi nella stessa
gerarchia ecclesiastica. Il bipolarismo etico sfocia nel manicheismo, che
distrugge la pace sociale, il superiore bene temporale, per Sant’Agostino. “Andreotti, affermò il leader liberale della
prima Repubblica, on. Le Giovanni Malagodi, tra la Chiesa e l’Italia ha sempre
fatto gli interessi della Chiesa”. Se colta nella sua verità profonda,
l’affermazione è vera, chiarendo che gli interessi della Chiesa coincidono con
la pace civile del Paese. Nel rapporto tra legge naturale e legislazione civile,
con riferimento al pensiero agostiniano sulle leggi imperfette, assumendo,
altresì, la critica ratzingeriana alla teologia politica, sta la strada sicura
dei cattolici impegnati in politica. I grandi Discorsi di Papa Benedetto in
Inghilterra, in Francia, in Germania, negli Stati Uniti (insieme alla lezione di
Ratisbona e al Discorso “non pronunciato” alla Sapienza di Roma) costituiscono
un tesoro della Chiesa, nonché il terreno programmatico ed ideale per una
rinnovata presenza sul piano politico. Da ciò, socialmente parlando,
continuamente scaturisce, nelle alterne vicende della storia, una “democrazia di velluto”, ovvero uno
spazio temporale in cui i cattolici, fedeli alla loro appartenenza, difendendo
e promuovendo la libertà religiosa, “prisma di tutte le libertà”, secondo la
magistrale affermazione di Giovanni Paolo II, più volte ripresa da Andreotti, contribuiscono
liberamente, negli assetti democratici, in dialogo con tutti, ad un realistico e sano pluralismo civile,
nell’interesse della pace sociale,
secondo le più opportune e ragionevoli mediazioni socio istituzionali, oltre
gli storici steccati e le contese egemoniche ideologicamente impostate. Questa è la politica eterna, mentre gli
strumenti sono cangianti. In uno degli ultimi incontri tra Papa Benedetto e
Andreotti, il Papa gli disse: “Lei non invecchia mai”.
De Gasperi,
visto da vicino
Avviandoci alla conclusione di questo itinerario è
inevitabile dire una parola sul rapporto tra De Gasperi e Andreotti. Ci
vorrebbe un altro saggio, ma ricordiamo semplicemente le parole di Francesco
Cossiga: “Solo un uomo può parlare di De Gasperi. Questi è Giulio Andreotti”.
Andreotti e
la fede
E’ stato, come amava definirsi, “un popolano cattolico
romano”. Ha servito i Papi, ma innanzitutto era attento alla vita e alle
esigenze della sua Parrocchia “San Giovanni dei fiorentini”. Ha goduto
direttamente della bellezza della santità: don Gnocchi, che aiutò
nell’istituzione civile dell’opera dei mutilatini, Madre Teresa di Calcutta,
don Giussani. Amava ripetere: “Rimani con noi, perché si fa sera”.
Conclusione,
ovvero un nuovo inizio
“Non ha più tempo” aveva detto di lui, con odio,
Francesco Merlo su “Repubblica”, all’indomani dell’assoluzione nel processo per
mafia. Il tempo, invece, è stato amico del presidente, che ha avuto un tempo così ampio, così lungo,
per abbattere muri e costruire ponti.
“Il tempo è superiore allo spazio”, ha scritto Papa
Francesco nella Lumen Fidei. “Non
bisogna, ha spiegato, privilegiare gli spazi di potere rispetto ai tempi, anche
lunghi, dei processi. Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi”.
Il tempo gli è stato amico e così ha visto l’affaccio dalla loggia centrale del
nuovo Vescovo di Roma, venuto “dalla fine del mondo”. Nell’ultimo numero di “Trenta
Giorni”, appariva il ricordo del Cardinale Bergoglio in memoria di don Giacomo
Tantardini, morto il 19 aprile del 2012, “l’uomo bambino che si stupiva di ciò
che Dio faceva accadere”, il sacerdote che aveva voluto Andreotti alla
direzione della rivista.
Grazie, Presidente, pontefice laico, per tutti i ponti
che Lei, per la pace nel mondo, ha costruito nel tempo e nella storia.

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