In occasione del trecentocinquantenario della nascita di Giambattista
Vico (1668), le istituzioni universitarie di Napoli, Salerno, Milano,
la Sorbonne di Parigi, l’Istituto di cultura italiana a Berlino,
nonché molteplici organismi di studi, a livello nazionale ed
internazionale, hanno dato vita ad importanti appuntamenti culturali,
per onorare ed approfondire il pensiero del filosofo napoletano. A
Milano, ad esempio, l’evento ha posto l’attenzione su “Vico e
la filosofia civile in Lombardia”. Si legge nella motivazione del
convegno: “Il ruolo della cultura lombarda nella fortuna di
Giambattista Vico è un fatto comprovato. Benedetto Croce, fin dalla
metà del secolo scorso, affermò che, dopo Napoli, Milano “divenne,
e restò a lungo, la seconda roccaforte del vichismo”. In un
contesto di vasti rivolgimenti sociali, la riflessione vichiana
incrociò così alcuni dei più rilevanti momenti della vita civile
lombarda, contribuendo alla formazione delle stesse categorie
concettuali che quest’ultima andava sviluppando”. Vico è il
filosofo della “Scienza Nuova”, cioè della storia. Il suo
pensiero matura nel clima di due dimore affettive ed intellettuali:
presso i Girolamini a Napoli e nella biblioteca del castello dei
Rocca a Vatolla nel Cilento. Pensiero moderno che allarga –
rispetto a Cartesio – le possibilità di conoscenza non solo delle
scienze esatte, ma anche delle res umane. Una filosofia civile in
grado di leggere, conoscere e comprendere, in modo più esauriente,
il movente ed il flusso della storia, nella genesi delle istituzioni
dei popoli, alla luce delle facoltà umane creatrici: senso,
fantasia, memoria, ingegno. Mirabile la nozione vichiana di ingegno:
“Ingenium facultas est in unum, diversa conjugendi”. “Ingegno è
la facoltà di unificare cose separate, di congiungere cose diverse”,
individuando “tra lontanissime cose nodi che in qualche ragione
comune le stringessero insieme”. A questa scuola di pensiero si
richiamò Genovesi nel formulare la teorizzazione dell’economia
civile, la cui caratteristica fondante è congiungere, “stringere
insieme”, creare legami, sviluppare relazioni di fiducia, legare
come “corda che unisce … in una vita compagnevole”, sino alla
identificazione del mercato come “mutua assistenza”, generando
felicità pubblica. Nel contesto odierno, alla luce delle
trasformazioni storico-culturali in atto, l’ingegno
economico-civile, intendendo per esso, in questo caso, una rinnovata
capacità di inventiva, di fantasia creatrice e di intrapresa nel
lavoro, implica una ragione dispiegata, secondo la sua stessa
natura. “Il valore di un gesto sta nella misura in cui
esso si connette al tutto”, ci ha insegnato don Giussani.
(Perché la Chiesa, volume III del PerCorso, pag. 276). Nella
realizzazione di un’opera, nello svolgimento di un lavoro, nella
ideazione di un’intrapresa, il soggetto crea l’insieme oggettivo,
componendo tutti gli elementi configuranti lo scopo dell’oggetto ed
il metodo ad esso confacente. L’insieme oggettivo provoca ad andare
di più nella profondità di se stessi, sino al punto sorgivo
dell’insieme dentro di sé: “L’armonia nascosta è più potente
di quella manifesta”, afferma Eraclito. In un certo qual modo, il
soggetto vive il dato di Essere fatto ingegnosamente da
qualcosa di grande, la sua dignità è fatta per qualcosa di grande:
la realizzazione della propria umanità come compito e vocazione
della vita. Meraviglia piena di sé da cui scaturisce una vivente
filosofia dell’intrapresa. La stessa incompletezza che riscontriamo
nell’esperienza (“Io ho bisogno di Te”) è un disegno
armonioso, una mancanza anch’essa ingegnosa, in quanto
sollecita ad aprirsi all’altro, a condividere il proprio e comune
bisogno. Così, l’ingegno umano raggiunge il suo vertice nell’arte
della condivisone e della creazione dei legami di solidarietà e di
fraternità. E’ questo il cuore “artigiano” che fa la storia.
Perché abbia durata ha bisogno di un Tu, che in una storia gli
risvegli la meraviglia dell’Essere fatto, per qualcosa
di grande. Un cuore mosso e sostenuto dall’accadimento di un fatto
vero (“Verum ipsum factum”): avvenimento di vita che si svolge e
si snoda nella trama di incontri e fatti; storie, luoghi in cui
rifiorisce la vis veri, la forza del vero, il gusto del bello da cui
sorge ed insorge l’umana intrapresa.
lunedì 31 dicembre 2018
La filosofia civile di Giambattista Vico,
cantore dell’ingegno
In occasione del trecentocinquantenario della nascita di Giambattista
Vico (1668), le istituzioni universitarie di Napoli, Salerno, Milano,
la Sorbonne di Parigi, l’Istituto di cultura italiana a Berlino,
nonché molteplici organismi di studi, a livello nazionale ed
internazionale, hanno dato vita ad importanti appuntamenti culturali,
per onorare ed approfondire il pensiero del filosofo napoletano. A
Milano, ad esempio, l’evento ha posto l’attenzione su “Vico e
la filosofia civile in Lombardia”. Si legge nella motivazione del
convegno: “Il ruolo della cultura lombarda nella fortuna di
Giambattista Vico è un fatto comprovato. Benedetto Croce, fin dalla
metà del secolo scorso, affermò che, dopo Napoli, Milano “divenne,
e restò a lungo, la seconda roccaforte del vichismo”. In un
contesto di vasti rivolgimenti sociali, la riflessione vichiana
incrociò così alcuni dei più rilevanti momenti della vita civile
lombarda, contribuendo alla formazione delle stesse categorie
concettuali che quest’ultima andava sviluppando”. Vico è il
filosofo della “Scienza Nuova”, cioè della storia. Il suo
pensiero matura nel clima di due dimore affettive ed intellettuali:
presso i Girolamini a Napoli e nella biblioteca del castello dei
Rocca a Vatolla nel Cilento. Pensiero moderno che allarga –
rispetto a Cartesio – le possibilità di conoscenza non solo delle
scienze esatte, ma anche delle res umane. Una filosofia civile in
grado di leggere, conoscere e comprendere, in modo più esauriente,
il movente ed il flusso della storia, nella genesi delle istituzioni
dei popoli, alla luce delle facoltà umane creatrici: senso,
fantasia, memoria, ingegno. Mirabile la nozione vichiana di ingegno:
“Ingenium facultas est in unum, diversa conjugendi”. “Ingegno è
la facoltà di unificare cose separate, di congiungere cose diverse”,
individuando “tra lontanissime cose nodi che in qualche ragione
comune le stringessero insieme”. A questa scuola di pensiero si
richiamò Genovesi nel formulare la teorizzazione dell’economia
civile, la cui caratteristica fondante è congiungere, “stringere
insieme”, creare legami, sviluppare relazioni di fiducia, legare
come “corda che unisce … in una vita compagnevole”, sino alla
identificazione del mercato come “mutua assistenza”, generando
felicità pubblica. Nel contesto odierno, alla luce delle
trasformazioni storico-culturali in atto, l’ingegno
economico-civile, intendendo per esso, in questo caso, una rinnovata
capacità di inventiva, di fantasia creatrice e di intrapresa nel
lavoro, implica una ragione dispiegata, secondo la sua stessa
natura. “Il valore di un gesto sta nella misura in cui
esso si connette al tutto”, ci ha insegnato don Giussani.
(Perché la Chiesa, volume III del PerCorso, pag. 276). Nella
realizzazione di un’opera, nello svolgimento di un lavoro, nella
ideazione di un’intrapresa, il soggetto crea l’insieme oggettivo,
componendo tutti gli elementi configuranti lo scopo dell’oggetto ed
il metodo ad esso confacente. L’insieme oggettivo provoca ad andare
di più nella profondità di se stessi, sino al punto sorgivo
dell’insieme dentro di sé: “L’armonia nascosta è più potente
di quella manifesta”, afferma Eraclito. In un certo qual modo, il
soggetto vive il dato di Essere fatto ingegnosamente da
qualcosa di grande, la sua dignità è fatta per qualcosa di grande:
la realizzazione della propria umanità come compito e vocazione
della vita. Meraviglia piena di sé da cui scaturisce una vivente
filosofia dell’intrapresa. La stessa incompletezza che riscontriamo
nell’esperienza (“Io ho bisogno di Te”) è un disegno
armonioso, una mancanza anch’essa ingegnosa, in quanto
sollecita ad aprirsi all’altro, a condividere il proprio e comune
bisogno. Così, l’ingegno umano raggiunge il suo vertice nell’arte
della condivisone e della creazione dei legami di solidarietà e di
fraternità. E’ questo il cuore “artigiano” che fa la storia.
Perché abbia durata ha bisogno di un Tu, che in una storia gli
risvegli la meraviglia dell’Essere fatto, per qualcosa
di grande. Un cuore mosso e sostenuto dall’accadimento di un fatto
vero (“Verum ipsum factum”): avvenimento di vita che si svolge e
si snoda nella trama di incontri e fatti; storie, luoghi in cui
rifiorisce la vis veri, la forza del vero, il gusto del bello da cui
sorge ed insorge l’umana intrapresa.
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Buon anno, democrazia!
RispondiEliminaBellissimo questo concetto di "Mancanza Ingegnosa".
Grazie!
Grazie,Aniello
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