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| Rooms by the Sea (Edward Hopper, 1951) |
“I giovani sono invidiabili perché hanno molto da lavorare. Ed il
lavoro sarà il più arduo che possa pensarsi, perché sarà
necessario unire la forte e fresca intuizione degli antichi e la
potente capacità sistematica dei moderni”. E’ evidente la
matrice vichiana di questa affermazione di Giuseppe Capograssi,
filosofo del diritto, grande interprete della filosofia della storia
di Giambattista Vico, nonchè co-autore del Codice di Camaldoli, con
capitolo sullo Stato, e quindi ispiratore di quella generazione di
cattolici che animò i lavori della Costituente, rielaborando i
fondamenti dello Stato democratico. Il lavoro come bonum arduum,
secondo la terminologia tomista; bene segnato dalla fatica e proprio
per questo degno, come ricordava Giovanni Paolo II nella Laborem
exercens, cioè corrispondente alla dignità dell’uomo. Bene arduo,
il più arduo che possa pensarsi, da pensare nell’azione. E’ la
grande sfida che oggi investe particolarmente i giovani, ma è la
sfida di sempre, in ogni tornante dell’umana avventura. Pensare
umanamente il lavoro significa dare spazio alla “forte e fresca
intuizione degli antichi”, i quali furono “… poeti, che lo
stesso in greco suona che criatori” (Vico, Sn, 1744), secondo
l’etimologia greca (poiesis: creare). “Criatori” di civiltà e
di storia, a partire dal “pensiero umano nascente”,
quando, nel terrore dei violenti accadimenti naturali, balenò
nell’individuo un “primo filo di luce”, ovvero l’idea di “un
motivo vero, che non è questo terrore”. (Capograssi, Opere,
vol. IV)). Il pensiero umano nascente: da un fatto il sorgere di
un’idea, l’intuizione corrispondente e creativa che muove
l’ingegno, il quale “non è mai separato dalla verità”, dalla
vis veri, esprimendo nella storia “la potente capacità sistematica
dei moderni”. Pensare il lavoro significa costruirlo in rapporto
alla realtà emergente, riattualizzando in forme sempre nuove la
“fresca e forte intuizione” originaria, che spinge a modificare
le condizioni materiali dell’esistenza, secondo i bisogni che
pungono il vivere quotidiano e secondo il bisogno/altro che in essi
si nasconde e si svela, accrescendo l’autocoscienza della persona.
E’ questa la spinta che continuamente ricrea il “mondo civile”,
ossia l’insieme delle condizioni e modalità che contribuiscono a
rendere gli “uomini socievoli”: in ciò sta il cammino
propriamente umano dell’uomo nella storia, il divenire più umano
dell’esistenza personale e collettiva, mediante la creazione di
“corpi sociali socievoli”, arricchendo e potenziando la vita in
comune. “Si chiama lavoro la parte più eminente e più vasta del
nostro rapporto con le cose, cui siamo destinati dalla nostra
natura: questo rapporto più vasto con la realtà è lo scopo del
tempo che viviamo, è il lavoro vero nel quale il destino c’entra
con il nostro specifico lavoro. E’ augurabile che, in tanti anni di
compagnia e di cammino, sia diventato più chiaro per voi cosa voglia
dire lavoro”. Sono parole di don Giussani nel suo eterno dialogo
con i giovani e con ogni cuore giovane: nella continua ripresa di
questo dialogo sull’umano, scorgendo nell’esperienza il motivo
vero, cioè lo scopo che illumina, come primo albore,
l’esistenza tutta, sta la possibilità di una vita veramente
umana, generando movenze comunionali. E’ il logos civile di
un’esperienza, cioè l’essenza secolaresca di un carisma
che, nella storicità di comunione vissuta, impegna a verificare la
razionalità della proposta “proprio nei riguardi della storia,
della società, del mondo”, generando un affronto più comprensivo
e libero dei problemi dell’uomo nelle dimensioni della “cultura,
dell’amore, del lavoro, della politica”. (Luigi Giussani, Perché
la Chiesa, Una missione della Chiesa verso l’uomo terreno).
Un’esperienza per tutti, mettendo in gioco la libertà di ciascuno.
Libertà di assecondare il moto dell’umanità che soffia in noi,
ri-conoscendo l’Origine della Spinta che muove tutto
l’Essere della persona, sospingendola verso lo scopo della
propria realizzazione umana.

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