martedì 30 aprile 2019

La discoverta dell’umano:
“scienza nuova” dell’economia civile

A Firenze, dal 29 al 31 marzo, si è svolto il “Festival dell’economia civile”, mettendo a confronto esperti, accademici, operatori, imprenditori, ai fini di una più piena condivisione delle esperienze e dei valori di questa “sfida” economico-culturale, valorizzando le iniziative e le intraprese che prendono corpo in tanti territori. Il territorio, infatti, è il laboratorio vivente ove si sperimentano prassi innovative di elaborazione, di co-progettazione, di fare insieme, cooperando. Un modo antico e, nello stesso tempo, nuovo, di fare economia, mirando alla felicità pubblica attraverso i valori della fiducia, della gratuità, delle relazioni, della solidarietà che si fa fraternità: universo di ragioni e valori capace di generare lavoro e qualità della vita. Le “Lezioni” dell’abate Antonio Genovesi costituiscono un punto di riferimento obbligato per l’approfondimento della filosofia che genera economia civile. Essa nasce da un humus valoriale e, nel contempo, crea “plusvalore”, ma i valori durano quando di continuo si alimentano criticamente alla sorgente da cui essi scaturiscono, evitando di precipitare nel sentimentalismo che non regge all’urto delle circostanze storiche. Perciò, bisogna sempre tornare all’ontologia, all’origine della matrice umanistica che caratterizza questa modalità di fare economia. Nella teorizzazione genovesiana centrale è l’universo umanista-filosofico di Giambattista Vico, la cui “Scienza nuova” getta luce sul costituirsi del “mondo civile”, “raccontando” la genesi del processo storico di civilizzazione, il sorgere dei primi accenni della novità umana. Tra il bagliore dei fulmini, nello stupore e nella paura per gli accadimenti naturali, il “selvaggio” intuisce una Realtà superiore: “.. che ne’ disperati soccorsi della natura anco essi disiderano, esservi una cosa alla natura superiore, che gli salvasse …. e sì dentro i nembi di quelle prime tempeste, al barlume di que’ lampi videro questo gran raggio di verità ...” (Sn, Della sapienza poetica, ed. 1730, a cura di Paolo Cristofolini e Manuela Sanna). “Uomini crudi, fieri, ed immani” si affidano a questa Realtà provvidente e, nello stesso tempo, danno inizio ad una “fantastica” ed “ingegnosa” attività “poetica/poietica”. “Poeti, che lo stesso in greco suona che criatori” (Sn ed.1744 a cura di P. Rossi; ed. di A. Battisini): “con uno più sublime lavoro …. diedero sensi, e passioni a corpi” (Sn, Della sapienza poetica, 1730), interpretando e trasformando la realtà; …. “furono necessitati di dar fuoco alle selve, e con molta lunga dura fatiga ridurle alla coltura, e seminarvi il frumento”. (Sn, Della sapienza poetica, 1730). Tutto avviene in forma rozza, ma è abbrivo dell’umana avventura: la scossa violenta degli eventi naturali mette in moto il corpo bestiale del selvaggio, il quale gradualmente scopre in sé il suo fattore umano, la vis veri: “cominciò a menar fuori in un certo modo la forma dell’anima umana, ch’era affatto seppolta dalla materia ne’ vasti corpi de’ giganti” (Sn Dell’iconomia poetica, 1730), modificando la sua mente, allargando, cioè, la capacità di intendere e comprendere. Così, comincia a prendere forma la dimensione umana, civile dell’esistente, ossia la natura socievole degli “uomini crudi”. E’ la discoverta dell’umano: il primo germoglio nella mente dei “semina veri”, delle “faville di Dio”. E’ il senso profondo del “verum ipsum factum”: conoscenza della storia e conoscenza dell’agente che, con la spinta incoercibile sorpresa dentro di sé, dà inizio (di inizio in inizio) alla storia. Giuseppe Capograssi di questo inizio ha dato una rappresentazione mirabile: “Vico è il poeta dell’alba. Il giorno fatto, il giorno pieno, tutto ciò che è dispiegato non lo interessa. Lo interessa il nascere del primo filo di luce: il pensiero umano nascente”. (Capograssi, Opere, Vol. IV). Capograssi, come Vico, è affascinato dall’incipit dell’umana avventura, dal sorgere del bagliore iniziale di pensiero vero, dal primo filo di luce che determina il passaggio dallo stato ferino a quello umano, quando l’io rozzo e bestione comincia ad intendere in un certo modo il reale, così come si presenta agli occhi e all’esperienza, generando rapporti con l’Altro e con gli altri. In questa “modificazione della mente”, in questa crescente capacità di comprendere e, quindi, di stabilire nessi e rapporti con Tutto sta l’avvenimento di un “fatto” nuovo: l’inizio della civiltà, il “tremolar” dell’io, il brivido del sé, l’avverarsi nell’albore della natura umana; natura socievole i cui moti profondi sono da disvelare e riscoprire criticamente in ogni tornante della storia, tra decadimenti ed avanzamenti, ricostruendo continuamente i legami costitutivi delle “Nazioni civili”. La “discoverta dell’umano” è la sfida decisiva in ogni passaggio storico; una lotta che non avviene una volta per tutte. In ogni momento della vita di un popolo, in ogni momento della vita della persona, si tratta di riconquistare il primo filo del pensare veramente umano, il fiotto sorgivo permanente da cui scaturisce l’energia creativa degna dell’uomo, cioè corrispondente alla natura del proprio Essere. Al primo filo dell’alba umana, quando la persona si ridesta nella coscienza di sè, ci introduce l’impareggiabile riflessione sul senso religioso di don Giussani, accompagnandoci alla comprensione dell’esperienza elementare di ciascun uomo, alla “discoverta” dell’umano che è in noi, da cui irrompe un’intensa, appassionata, indomita opera poetica-poietica di trasfigurazione della realtà. “Supponete di nascere, di uscire dal ventre di vostra madre all’età che avete in questo momento, nel senso di sviluppo e di coscienza così come vi è possibile averli adesso. Quale sarebbe il primo, l’assolutamente primo sentimento, cioè il primo fattore della reazione di fronte al reale? Se io spalancasi per la prima volta gli occhi in questo istante uscendo dal seno di mia madre, io sarei dominato dalla meraviglia e dallo stupore delle cose come di una “presenza”. Sarei investito dal contraccolpo stupefatto di una presenza che viene espressa nel vocabolario corrente dalla parola “cosa”. Le cose! Che “cosa”! Il che è una versione concreta e, se volete, banale, della parola “essere”. L’essere: non come entità astratta, ma come presenza, presenza che non faccio io, che trovo, una presenza che mi si impone. …. Lo stupore, la meraviglia di questa realtà che mi si impone, di questa presenza che mi investe è all’origine del risveglio dell’umana coscienza”. (L. Giussani, Il Senso Religioso, cap. X). E’ uno sguardo nuovo su di sé e su tutta la realtà, grazie alla presenza di persone umanamente per noi significative. “Una Presenza dentro sguardo” muove “l’energia e la vibrazione della ragione”, desta la persona muovendola all’azione nella realtà, nel tentativo operoso di plasmare le “cose” secondo il suo cuore, sino alla creazione di forme nuove di lavoro e di economia, proseguendo, in un certo qual modo, la costruzione del “mondo civile”. Costruzione che si identifica con il risveglio dell’umana coscienza, attraverso un’attrattiva che ci colpisce, risvegliando e rigenerando la tensione al bello, al vero al giusto, per la personale e comune felicità.

1 commento:

  1. Caro Aniello preciso e puntuale. Un pò difficile, ma preparato,erudito,sensibile e comprensibile. Grazie del magnifico contributo alla formazione sociale. Ciao,prof Enzo Stellato.

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