![]() |
| L'ovile, chiaro di luna. Millet (1860) |
Tale “acconcezza d’assembramento”,
ossia la corrispondenza delle cose fatte ai loro modelli, è la
bellezza: il lavoro sublime da quando per la prima volta quegli
uomini dai corpi giganteschi avvertirono il cielo; “e sì
incominciarono a celebrare la connaturale curiosità, ch’è
figliuola dell’Ignoranza, e madre della Scienza, la qual partorisce
nell’aprire, che fa dalla mente dell’huomo la Maraviglia … e
tutti anziosi nella ricerca, domandano, che quella cosa si voglia
significare”, iniziando un processo di conoscenza sino
all’infinito, “perché la mente umana si diletta dell’uniforme”,
dell’universale.
E’ il sentire meraviglioso, di fronte
al cielo stellato o dinanzi ad un particolare della realtà, il
fulcro che, sin dai primordi dell’umano e della storia, ha mosso e
commosso l’io nel suo cammino storico, maturando la sua coscienza;
è questo “sentire” che proietta l’io, mosso, scosso, commosso
dal richiamo delle “cose”, verso il significato universale,
plasmando tutto alla luce o all’ombra del Significato presentito.
Il sentire sublime porta al lavoro sublime, sino al vertice della
ragione, cioè alla domanda radicale sul significato di sé.
“Spesso quand’io ti miro
Star seduta così muta in sul deserto
piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel
confina,
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in ciel arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? Che vuol dire questa
Solitudine immensa? Ed io che sono?”
(G. Leopardi, Canto
notturno di un pastore errante dell’Asia)
Nel sentire pienamente umano s’impone
l’infinitudine dell’io, la “nostalgia del totalmente altro”:
il bisogno dell’Altro, dell’Infinito, di una Sorgente oltre, di
una Forza oltre, oltre sé, più di sé, eccedente sé, infinitamente
più grande di sé; per essere pienamente sé! Dunque, il bisogno di
una compagnia, di un rapporto profondo io-tu, di un sentire comune.
Che vuol dire questo Bisogno immenso? “Ed
io che sono?”
Da questa domanda ineludibile, pro-vocata
da frangenti della vita e della realtà, scaturisce la forza poietica
di trasformazione: un soggetto unico ed irripetibile protagonista
nella storia; non cittadino anonimo della città umana in balia delle
forze del potere.
Un amico del Meeting, di ispirazione
vichiana, Sergio Marchionne, dedicò lo stabilimento di Pomigliano
d’Arco al “filosofo dell’umanità”, cantore dell’ingegno.
“La fantasia, che è l’occhio dell’ingegno”: è affermazione
architrave dell’Opera di Giambattista Vico. Per affrontare le nuove
sfide del lavoro, nella società globalizzata, occorre un surplus di
fantasia: un soggetto che metta in gioco tutte le sue risorse umane
nella trama di una compagnia, in cui il sentire sublime, proprio
della natura umana, sia continuamente sostenuto e condiviso. La
condivisione di questo impeto originario del cuore è più forte di
qualsiasi interesse particolare ed attraversa, rendendolo più vero,
ogni interesse particolare. Da qui un’amicizia operativa
nell’avventura della storia, nel dramma della lotta quotidiana,
nelle contraddizioni dell’esistente storico. Una condivisione più
forte, più tenace di qualsiasi sindacalità; in verità, una
sindacalità nuova, vera, profonda, costruttiva. Una realtà sociale
nuova: l’appartenenza ad un popolo. Marchionne veniva al Meeting
sicuramente per rintracciare l’Origine del Fatto che metteva, che
mette all’opera tantissimi giovani, costruendo nella gratuità, per
il fascino del Fatto incontrato, seguendo la “connaturale
curiosità”.
“Dietro la parola “io” c’è oggi
una grande confusione, eppure la comprensione di cosa è il mio
soggetto è il primo interesse. Nulla è così affascinante come la
scoperta delle reali dimensioni del proprio io. E nulla è così
commovente come il fatto che Dio si sia fatto uomo per dare l’aiuto
definitivo, per accompagnare con discrezione, con tenerezza e potenza
il cammino faticoso di ognuno alla ricerca del proprio volto umano.
(Don Giussani, Alla ricerca del volto umano, Bur).
L’Infinito presente nelle sembianze di
una compagnia, abbracciando l’infinitudine dell’io, rendendosi
presente in essa, attraverso di essa, per ridestare continuamente il
cuore alla sublimità del sentire e rinnovare, secondo questo
sentire, tutte le cose. “Solo un io può dire “tu” all’infinito
che genera – genera! Qualcosa di simile a sé, rende sé
tradizione, porta ancora sé, ripete sé e così si comunica e nasce
un popolo. E’ questo il soggetto nuovo da cui nasce un popolo.
Questo soggetto nuovo è l’inizio, l’origine, il generatore –
padre e madre – di una società nuova, di una realtà sociale
nuova.” (Luigi Giussani, Un avvenimento nella vita dell’uomo,
Bur, pag. 157).

Nessun commento:
Posta un commento