
Il
18 maggio del 1920 nasceva Karol Wojtyla. E’ nostro desiderio
ricordare il centenario della nascita del grande Papa, evocando il
suo contributo originale all’elaborazione della Dottrina Sociale.
Dottrina, per molti anni, caduta nel dimenticatoio e che Giovanni
Paolo II non solo rilanciò, ma contribuì a riformularla, a partire
dall’enciclica Laborem Exercens.
E’
il Papa del “Vangelo del lavoro”, espressione a lui cara. “Io
vi conosco, o uomini splendidi”, affermava Karol Wojtyla in un suo
componimento poetico. “Il cristianesimo e la Chiesa non hanno paura
del lavoro umano. Non hanno paura del sistema basato sul lavoro. Il
Papa non ha paura degli uomini del lavoro. Essi gli sono stati sempre
particolarmente vicini. E’ uscito in mezzo a loro. E’ uscito
dalle cave di pietra di Zakrzowek, dalle caldaie di Solvay in Borek
Falecki, poi da Nova Huta. Attraverso tutti questi ambienti,
attraverso le proprie esperienze di lavoro – oso dire – il Papa
ha imparato nuovamente il Vangelo. Si è accorto e si è convinto
quanto sia profondamente incisa nel Vangelo la problematica
contemporanea del lavoro umano”. (Giovanni Paolo II, viaggio in
Polonia, Nova Huta 9 giugno 1979).
Una
catena infinita di discorsi, messaggi ed incontri: in ogni luogo che
visitava, puntuale, immancabile era l’appuntamento con gli uomini
del lavoro. Una produzione magisteriale interminabile, sterminata,
attuale: una Somma Filosofica, con al centro l’uomo che incontra
l’Uomo; l’uomo proteso alla Verità di sé, attraversando gioia e
dolore, per affermare nella dignità l’esistenza dei propri cari:
“Dai villaggi di pescatori sparsi su queste coste, voi ed i vostri
antenati siete usciti con il buono ed il cattivo tempo, per strappare
al mare il necessario per vivere, spesso a rischio della vita. Nel
dolore e nella speranza cristiana le vostre famiglie hanno pianto la
perdita di molti loro cari che non sono più tornati. Come ha scritto
un poeta di Terranova: “Ci sono voluti mille anni al mare, mille
anni per disegnare il profilo di granito di questa rupe, il ciglio,
il dirupo e la base. C’è voluta al mare un’ora in una notte,
un’ora di tempesta per scavare il solco di queste rughe di granito
sul volto di una donna”. (Giovanni Paolo II, Discorso ai pescatori
di Terranova, Canada, 12 settembre 1984).
Ha
scritto J. Tischener, filosofo, amico del Papa: “Il pensiero di
Giovanni Paolo II sul lavoro è particolarmente ricco di fascino per
noi. Esso è nato in Polonia, in mezzo ai nostri conflitti e alle
nostre inquietudini, alla nostra disperazione e alle nostre speranze;
è il pensiero di un uomo che ha lavorato come operaio nelle cave di
pietra, poi è stato studente di lettere, artista di teatro, vicario
di una parrocchia di campagna, studioso, vescovo; è un pensiero che
è giunto infine a piena maturità come pensiero del Papa della
Chiesa Universale. Ciascuna di queste tappe ha fornito all’Autore
un punto di vista in più sul problema dell’uomo che lavora”. (J.
Tischener, Etica del lavoro, Cseo Biblioteca).
“Se
nel presente documento (Laborem Exercens, n.d.r.), ritorniamo di
nuovo su questo problema …. non è tanto per raccogliere e ripetere
ciò che è già contenuto nell’insegnamento della Chiesa, ma
piuttosto per mettere in risalto – forse più di quanto sia stato
fatto finora – il fatto che il lavoro umano è una chiave, e
probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, se
cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista dell’uomo”. (L.
E. par. 3). In ciò l’originale contributo di Giovanni Paolo II
“all’elaborazione della dottrina sociale cristiana”.
Un
filo rosso si dipana attraverso la produzione poetica e filosofica di
Karol e soprattutto nello svolgersi del Magistero sociale di Giovanni
Paolo II: “La bellezza suscita ammirazione, l’ammirazione porta
al lavoro, il lavoro alla resurrezione”. Sono i versi nel
Promethidion di Cyprian Kamil Norwid (1821-1883), il poeta polacco
amato,”sin dai tempi del ginnasio”, da Lolek (così gli amici
chiamavano il giovane Karol).
La
vibrazione della bellezza nel cuore dell’uomo spinge a costruire, a
creare, ad intraprendere. Ci si adopera, con sacrificio, per
costruire una “cosa bella” per sé, per i propri cari, per gli
altri. Si affronta la fatica di un “viaggio” per il compimento
della propria umanità, per realizzare il proprio Volto nel mondo. Da
questo fiotto sorgivo scaturisce permanentemente, pur nella
drammaticità e nelle contraddizioni della storia, tra vittorie e
sconfitte, la forza creativa della persona e di un popolo.
“Il
lavoro è dare la vita per trasformare le cose, sotto l’impeto
dell’ammirazione che la bellezza produce, verso la bellezza finale,
che è il significato di tutto e di cui sappiamo il nome. E’
l’attrattiva del significato, della positività per cui vivi.
Allora ti metti in moto … per dare autenticità alle cose”: così
don Giussani commentava l’ispirazione del poeta polacco. (Luigi
Giussani, Uomini senza patria, 1982/1983, BUR). Nel discorso al mondo
della cultura a Varsavia, Giovanni Paolo II richiamava i versi di
Norwid in una prospettiva socio-economica e storica: “L’economia
è per la cultura. Viene realizzata anche mediante la cultura. Viene
realizzata correttamente per mezzo di questa dimensione fondamentale
della cultura che è la moralità. Assicurando la precedenza di
questa dimensione, assicuriamo la precedenza dell’uomo. …… Oggi
sentiamo più intensamente il bisogno di resurrezione, l’imperativo
della resurrezione; la resurrezione di Cristo tradotta da san Paolo
in principio della vita cristiana, in principio della vita
sacramentale... . Mentre la stessa resurrezione è stata tradotta da
Norwid in esigenza di vita nazionale, direi addirittura di vita
socio-economica”. (Giovanni Paolo II, Discorso al mondo della
cultura, 8 giugno 1991, Teatro Grande dell’Opera e del Balletto,
Varsavia).
Val
la pena soffermarsi su questo parallelo tra San Paolo e Norwid. In
esso, probabilmente, sta tutto lo “charme” di Giovanni Paolo II,
la sua identificazione della natura “secolaresca” del
cristianesimo, ovvero la missione storica della Chiesa, come spiegava
al Meeting di Rimini nel 1982. Non un progetto politico, bensì
l’esperienza della “sfida dall’alto”, rendendo “l’eroico
quotidiano ed il quotidiano eroico”: una vita personale e sociale
umanamente più ricca, creativa, affascinante, sino a creare nuove
forme di vita (e di lavoro) per l’uomo”. Economia e cultura.
Soggetto dell’economia è l’uomo che lavora; lavorando fa
cultura; crea socialità. “La forza del lavoro è quella di creare
comunità”. Nel trinomio lavoro/economia/socialità, la Laborem
Exercens fonda l’argomento personalistico, ovvero la soggettività
dell’uomo nel processo produttivo, secondo la distinzione tra
lavoro in senso oggettivo (L. E. par. 5) ed in senso soggettivo (L. E. par.
6), sviluppando l’insegnamento aristotelico/tomista: “Vi sono due
specie di azioni, dice Aristotele: le une (transitive), che passano
su un oggetto esterno, come scaldare e segare, ecc… ; le altre
(intransitive), che restano nell’operante, come intendere, sentire
e volere. E tra le une e le altre vi è questa differenza, che le
prime non sono un perfezionamento dell’agente che muove, ma
dell’oggetto che è mosso, mentre le seconde costituiscono un
perfezionamento dell’agente”. (San Tommaso, Summa Teologica, q.
18, art. 3).
Tutta
la riflessione della Laborem Exercens è l’approfondimento
nell’esperienza del duplice valore dell’azione nell’unità del
soggetto agente: “Il lavoro è un bene dell’uomo – è un bene
della sua umanità -, perché mediante il lavoro non solo trasforma
la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se
stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, diventa più uomo”.
(L. E. par. 9). “Se questo bene comporta il segno di un “bonum
arduum”, secondo la terminologia di San Tommaso, ciò non toglie
che, come tale, esso sia un bene dell’uomo. Ed è non solo un bene
“utile” o “da fruire”, ma un bene “degno”, cioè
corrispondente alla dignità dell’uomo, un bene che esprime questa
dignità e la accresce”. (L. E. par. 9). “Perciò, bisogna
continuare ad interrogarsi circa il soggetto del lavoro e le
condizioni in cui egli vive … sono necessari sempre nuovi movimenti
di solidarietà degli uomini del lavoro e di solidarietà con gli
uomini del lavoro” (L. E. par. 8), per condividere i bisogni,
condividendo, nel contempo, il bisogno di senso dell’esistenza. “Il
problema del lavoro ha un legame estremamente profondo con quello del
senso della vita umana. Attraverso questo legame il lavoro diventa un
problema di natura spirituale e lo è realmente. Questa constatazione
non toglie nulla agli altri aspetti del lavoro, aspetti che sono, si
potrebbe dire, più facilmente misurabili e ai quali sono legate
strutture e operazioni diverse di carattere esteriore, a livello
dell’organizzazione; questa stessa constatazione permette al
contrario di riportare il lavoro umano, in qualsiasi modo sia
eseguito dall’uomo, all’interno dell’uomo e cioè al punto più
profondo della sua umanità, in ciò che le proprio, in ciò che fa
sì che egli sia uomo e soggetto autentico del lavoro”. (Giovanni
Paolo II ai partecipanti alla 68° sessione della Conferenza
Internazionale del Lavoro, 15 giugno 1982).
L’affermazione
amorosa del senso della vita mediante il lavoro; il soggetto del
lavoro; economia e cultura: la riflessione di Giovanni Paolo II
arricchisce di contenuti e significato la corrente
profonda (culturale e filosofica, quindi economica) dell’economia
civile,
contribuendo a ri-generare nel quotidiano, criticamente, secondo
ragioni, i legami di fiducia, di condivisione, di cooperazione, di
soccorso agli altri, di amicizia civile, di felicità pubblica. “Il
lavoro produce non solo ricchezze materiali, esterne all’uomo, ma
anche ricchezze spirituali, a lui interiori, quali la solidarietà,
l’amicizia, la fratellanza”. (Giovanni Paolo II, Civitavecchia,
19 marzo 1987). I beni interiori dell’uomo, non solvibili,
rimangono nel punto più profondo della sua umanità; beni non
consumabili, non vendibili, che “passano” nell’oggetto
modificato e tornano all’umanità arricchita del soggetto: questi
beni sono le risorse fondamentali della persona, per un lavoro degno
e quindi per un’economia degna dell’uomo.
Karol Wojtyla, da “Il sapore del Pane”,
poesie, Liberia Editrice Vaticana.
LA CAVA DI PIETRA
MATERIA
“Ascolta, il ritmo uguale dei martelli, così noto,
io lo proietto negli uomini, per
saggiare la forza d’ogni colpo.
Ascolta, una scarica elettrica taglia il
fiume di pietra,
e in me cresce un pensiero, di giorno in
giorno:
che tutta la grandezza del lavoro è
dentro l’uomo…
Vedi, è possibile amare dal fondo della
rabbia
che trabocca nel respiro dell’uomo come
fiume gonfiato dal vento,
ma non trova voce e soltanto spezza ogni
corda più alta –
nei portoni i passanti si disperdono
e qualcuno sussurra: “Eppure è una
forza potente!” ….
Le mani sono il paesaggio del cuore …..
Le mani sono un paesaggio. Quando si
spaccano, nelle piaghe
sale il dolore e scorre libero, a fiotti.
Eppure l’uomo non pensa al dolore.
Non con questo dolore coincide la
grandezza:
la grandezza dell’uomo, di cui egli
stesso ignora l’esatta definizione.
Non solamente le mani calano giù col
peso del martello, non solamente il torso si tende e i muscoli
disegnano la loro forma,
ma attraverso il lavoro passano i suoi
pensieri più intensi
per intrecciarsi in rughe sulla fronte,
per congiungersi in alto, sopra il capo,
nell’arco acuto di braccia e di vene …..….”
ISPIRAZIONE
“Il lavoro ha inizio dentro; fuori
tanto s dilata
che presto prende le mani, raggiunge i
confini del respiro…..
Quando il pensiero coglie una certezza,
cuore e mano insieme raggiungono la vetta
più alta.
Questo filo a piombo, questa certezza
della mente e certezza degli occhi
devi pagarla generosamente.
La pietra ti dà la sua potenza, il
lavoro matura l’uomo
che ne riceve ispirazione per un
difficile bene.
Dal lavoro ha dunque inizio una crescita
di cuore e di mente
che tante persone coinvolge e tanti
eventi importanti
ed in mezzo ai martelli matura l’amore.
Nidiate di bambini lo porteranno in un
domani
Cantando: “Un immenso lavoro si è
compiuto nel cuore dei nostri padri”.
L’ispirazione non si arresta alle mani.
Fino a radici di pietra
scende attraverso il cuore dell’uomo
sua radice.
Di lì si dirama nel suolo la storia
delle pietre
E negli uomini l’equilibrio che
l’amore, attraverso la rabbia conquista.
Queste due forze guidano l’uomo, e
negli uomini mai non si esauriscono,
non si fermano alla tensione delle
braccia né al moto segreto del cuore.
Nascono l’una dall’altra, congiunte
in una leva
Che unisce moti e pensieri in un anello
inscindibile ….
(non si spezzi il tuo linguaggio nella
tensione della leva
Formata dall’amore e dalla rabbia).
Nessuno allora potrà mai strapparti
all’uomo, nessuno da lui Ti potrà
Mai separare”.
PARTECIPAZIONE
Ecco, una luce di tavola grezza, dal
tronco appena cavata,
si versa sulla tua mano con l’immensità
del lavoro.
E la tensione della mano si regge sopra
quell’Atto
Che, nell’uomo, tutto impregna e tutto
colma. ….
Le mani appartengono forse alla luce, il
cui fulgore interseca
I binari, i picconi, la recinzione in
alto?
Le mie mani appartengono al cuore, e il
cuore non impreca
(tieni lontano il cuore dalle labbra, se
le labbra d’imprecazione si macchiano).
Io vi conosco, o uomini splendidi, senza
formalità né maniere.
So guardare nel cuore dell’uomo senza
veli o illusioni.
Al lavoro le mani di alcuni, alla croce
le mani di altri appartengono …. “.
IN MEMORIA DI UN COMPAGNO DI LAVORO
Non era solo. I suoi muscoli si diramavano in una folla immensa
Finchè alzavano il martello, finchè
vibravano di energia –
Ma questo durò solo finchè egli senti
il terreno sotto i piedi,
finchè la pietra non gli squarciò la
tempia
e non gli entrò nelle stanze del cuore …
…. .
Lo stesero supino su un lenzuolo di
ghiaia.
Venne la moglie disfatta. Tornò il
bambino da scuola.
Tutto qui? La sua rabbia dovrà passare
negli altri?
Non maturava forse in lui con verità ed
amore?
Generazioni future devono forse
sfruttarlo come grezza materia,
privandolo della sua essenza più intima
ed unica?
Le pietre di nuovo si muovono. Il
carrello sparisce tra i fiori.
Di nuovo una scarica elettrica incide la
cava.
Ma l’uomo ha portato con sé la segreta
struttura del mondo
Dove l’amore prorompe più alto se più
lo impregna la rabbia”.
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