lunedì 1 novembre 2010

Federalismo antifederalista


Nell’epoca storica del federalismo la grande questione è e sarà la distribuzione delle risorse, per garantire in tutto il territorio nazionale i livelli essenziali di assistenza nella sanità e nelle prestazioni sociali. E’ una questione decisiva prima dal punto di vista culturale, poi politico istituzionale e, quindi, finanziario. In questo ordine, il “tassello” finanziario è all’ultimo posto, in quanto, benché il primo, il fondamentale, esso discende dall’impostazione culturale con cui si affronta il problema e, quindi, dalla capacità della politica e delle istituzioni di organizzare risposte razionali.Il primo nodo culturale riguarda il rapporto tra la dimensione sociale e la sanità. C’è un orientamento di pensiero, soprattutto in tempi di crisi economico finanziaria, che fa coincidere il due binari. Certamente c’è coincidenza, nel senso che il soggetto delle prestazioni è unico: la persona in quanto tale. Ma una “sanitarizzazione” del sociale è scorretta dal punto di vista metodologico organizzativo e, prima ancora, sotto il profilo dell’esperienza stessa dell’essere persona. Su questo aspetto ci riserveremo un’adeguata riflessione antropologica. Nell’organizzazione istituzionale si tratta piuttosto di tenere distinte le due dimensioni, onde procedere in forma integrata ed unitaria. Questione decisiva in una corretta visione sociale è la domiciliarità. Offrire specifiche prestazioni sanitarie, al di fuori dell’ospedale, è elemento qualificante di civiltà e di salute, secondo l’ormai acquisita, nel pensiero, definizione dell’Organizzazione Mondiale della Salute, per la quale salute non è assenza di malattia, ma benessere personale e sociale. Se, dunque, vale il principio della domiciliarità per specifiche prestazioni sanitarie, va da sé che occorre intessere, accanto al paziente, all’utente, al cittadino utente, una rete di relazioni, di sussidio nell’ordinario con una duplice finalità: da un lato, sostenere nel quotidiano il soggetto che è oggetto di cura, attraverso percorsi di espressione della sua socialità, della sua stessa identità individuale e storica; dall’altro, sostenere la famiglia nella cura globale del soggetto, rispondendo, altresì, alle esigenze di conciliazione dei tempi di lavoro e di cura. In questa visione, la centralità spetta al soggetto, alla sua famiglia e alla sua comunità. E’, dunque, un percorso tipicamente sociale, entro cui va ad inserirsi organicamente una prestazione sanitaria. Perciò, azzerare il Fondo per la non autosufficienza nelle azioni di politica sociale, tentando di rispondere alle esigenze sociali della persona con il Piano Sanitario, gestito dalle singole ASL, come ha fatto l’attuale Governo, nella proposta di Legge di Stabilità, già Legge Finanziaria, significa non capire la natura sociale dell’esperienza umana ed accentrare in strutture sanitarie (che, in alcune Regioni, danno pessima prova di se stesse) la vocazione di comunità, cui la persona è chiamata. Inoltre, affermare una vera cultura domiciliare significa, tra l’altro, contribuire ad una significativa deospedalizzazione e, quindi, abbattere notevolmente i costi della sanità, semplificando le megastrutture asfissianti della medesima. Si tratta, perciò, di un processo sociale e culturale che va direzione di una maggiore efficienza organizzativa ed efficacia di cura in capo alla stessa sanità. Pertanto, appare incomprensibile giustificare il suddetto accentramento adducendo motivi di ordine finanziario. Ci domandiamo: nell’assetto istituzionale federalista, in cui i trasferimenti statali diminuiscono a fronte della capacità impositiva di Regioni e Comuni (qui “prepotentemente”, nel senso di una lacerazione, si innesta il problema vitale del minor gettito nei territori economicamente e sociologicamente più deboli), lo Stato, in quanto tale, è chiamato, in virtù della sua stessa filosofia ordinata al federalismo, come sancisce la riforma del Titolo V, parte seconda della Costituzione, a garantire i livelli essenziali di assistenza, erogando le necessarie risorse nazionali. Uno Stato federalista che venisse meno a ciò verrebbe meno al suo ordinamento. E, allora, di quale “federalismo” stiamo parlando? Sicuramente di un “federalismo antifederalista”.

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