Nel
cinquantottesimo anniversario della morte di Alcide De Gasperi si sono
moltiplicate le iniziative culturali e le riflessioni per ricordare la lezione
del grande statista. La figura di De Gasperi ha affascinato tanti noi, sin da
ragazzi. Cosa immediatamente ci colpiva? Dai filmati vedevamo un uomo
autorevole, sentivamo una voce vibrante, appassionata; un uomo che serviva il
Paese con la forza dell’amore all’Ideale; una personalità energica, cioè tesa
alla costruzione del bene comune, ricostruendo il Paese. Era facilissimo vedere
che in lui la fede cristiana era il motore della sua persona e della sua stessa
azione politica. Un rappresentante del popolo laborioso, l’espressione pubblica
della tradizione sociale della sua terra, il Trentino; autenticamente
cristiano, cioè autenticamente laico. Maestro di quella laicità positiva che sa
valorizzare il comune impegno della ragione di tutti nella costruzione della
città dell’uomo. Dalla sua fede operosa ed intelligente scaturiva una posizione
umana aperta alla realtà, a tutti e a tutto. Non si comprenderebbe nulla di De Gasperi se
si sottovalutasse la tensione ideale che innervava la sua politica, ovvero la capacità
di fare scelte coraggiose, di pensare alle generazioni future e non
all’immediato tornaconto politico-elettorale, di pensare l’Europa, di costruire
una grande politica estera, di saper dialogare con tutti, allargando
continuamente le basi democratiche dello Stato repubblicano. Fu l’uomo della
ricostruzione; della ricostruzione materiale e civile del Paese. “L’opera
degasperiana, ha scritto Ciriaco De Mita sul Corriere della Sera di domenica 19
agosto, non sarebbe stata possibile se chi la compì non avesse esercitato il
potere, oltre che con coraggio e carattere, con assoluta moralità, disinteresse
e senso del limite”. Ci sembra un’osservazione molto pertinente: “il potere con
senso del limite”. Si tratta di una posizione umana e culturale continuamente
da riscoprire e riconquistare, specialmente oggi, in momento storico in cui
l’esercizio del potere appare totalmente slegato dalla dimensione ideale e,
quindi, dalla capacità di sacrificio per il bene comune. Fu l’uomo della
libertà e della democrazia; della libertà della persona umana che viene prima
della Stato; della democrazia come sistema sempre perfettibile; sistema
organico di relazioni tra la persona, le formazioni sociali e lo Stato. Entro
questa organicità ci piace riprendere la frase di De Gasperi al Brancaccio di
Roma nel 1944: “Il Comune, dove c’è una torre che ricorda il passato e un
campanile che guarda il cielo, è la base della nostra democrazia”. Nella
definizione dei nuovi assetti federalistici dello Stato sarà utile “ripassare”
la lezione di De Gasperi e Sturzo sulle Autonomie Locali: autonomie aperte non
chiuse in se stesse, superando la concezione “baronale” del vecchio Stato
liberale. Qui si gioca una partita, forse la partita decisiva sul piano della
libertà, ossia delle libertà personali e sociali. Qui l’esercizio del potere,
senza il senso del limite e, aggiungiamo noi, dell’ironia, diventa la forma più
invasiva di “controllo” della vita delle persone e delle comunità.

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