di Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà (intervento ripreso da Il Sussidiario)
Come
ogni anno, il prossimo Meeting di Rimini ospiterà un incontro dell’Intergruppo
parlamentare per
L’autunno
ha poi coltivato
l’illusione: caduto Berlusconi, molti esponenti dell’Intergruppo sono stati
determinanti nell’evitare le elezioni anticipate e nello spingere i rispettivi
schieramenti ad appoggiare la svolta di Monti (governo di unità nazionale più
che tecnico). Il sostegno al governo Monti poteva essere l’occasione per un
lavoro comune di lungo periodo per riforme condivise, prodromo di un nuovo patto
costituzionale tra riformisti disposti a rompere con gli estremismi politici e
mediatici dei loro stessi schieramenti. A distanza di mesi, tutto questo inizio
di novità è già finito? Gli esponenti riformisti del centrodestra accolgono,
apparentemente entusiasti, la ricandidatura del loro vecchio leader.
Sembrano
dimenticare che il governo da lui guidato ha sprecato in questa legislatura la
grande occasione di attuare una svolta liberale sussidiaria grazie alla più
ampia maggioranza accordata dagli italiani dal dopoguerra. Infatti ha attuato
nella scuola e nell’università provvedimenti statalisti, pur avendo molto
annunciato non ha fatto nulla nella giustizia, non ha ridotto la spesa pubblica
corrente e per molto tempo non è stato preciso sui conti pubblici, non ha
favorito con provvedimenti selettivi, come avrebbe dovuto, chi investe, occupa,
esporta, ha attuato provvedimenti demagogici come il discutibilissimo salvataggio dell’Alitalia.
Infine
si è suicidato con risse interne. D’altra parte, le premesse non erano delle
migliori se si pensava, nella logica perversa della seconda Repubblica, che un uomo
solo al comando potesse quasi magicamente risolvere i problemi dell’Italia non
dando la giusta importanza al ruolo del Parlamento, reclutando dall’alto il
personale politico, spesso con logiche ben lontane da competenza e spirito
ideale, diffidando altrettanto spesso da persone critiche e competenti.
Visto
che nessun cambiamento basato sui programmi di cui si parlava al Meeting 2011 e
nei seminari culturali dell’Intergruppo è stato neanche abbozzato, perché in
futuro dovrebbe andare diversamente? Il silenzio degli esponenti di
centrodestra dell’Intergruppo, il loro non obiettare rispetto a questo ritorno
al passato rischia di accomunarli definitivamente a leader e dirigenti a cui la
gente che sperava nella svolta liberal-sussidiaria non può più ragionevolmente
credere.
Dagli
esponenti riformisti dell’Intergruppo del centrosinistra ci si aspettava una
inversione di tendenza rispetto ai gravissimi errori commessi dal loro
schieramento nella seconda repubblica: l’abbandono del garantismo per un
appoggio supino al giustizialismo, connivente con palesi violazioni delle leggi
vigenti a riguardo di intercettazioni telefoniche, carcerazione preventiva e
inchieste mosse per fini politici; il sostegno a un’ideologia
vetero-statalista-clientelare e, nello stesso tempo, l’appoggio a oligopoli
privati che hanno depredato i beni dello Stato con le privatizzazioni; la
delega del pensiero a intellettuali sostenitori della finanziarizzazione
dell’economia e dell’aumento della spesa pubblica. Invece stanno anche loro palesemente
appoggiando un sedicente fronte popolare che in realtà è uno schieramento
eterogeneo che continua a proporre i pessimi contenuti sopra menzionati e
rischia quindi di affossare definitivamente il nostro Paese se finisse per
governarlo.
Il
quadro è fosco e purtroppo realista: ma potrebbe non essere troppo tardi per
una inversione di tendenza favorita dagli “intergruppisti” di entrambe la parti. Potrebbe non essere troppo tardi per
opporsi ai politici senza cursus honorum, senza radicamento
popolare, senza nobili ideali; ai giustizialisti; ai fautori della spesa
pubblica clientelare e a quelli del liberismo selvaggio. Decretata la fine del
bipolarismo della seconda Repubblica, rissoso e inconcludente, non è ancora
troppo tardi per costruire insieme programmi che favoriscano libertà,
intrapresa, sussidiarietà e solidarietà nella scuola, nell’università,
nella sanità, nell’assistenza, nel mercato del lavoro, nell’impresa e possono
divenire contenuti di azione di un governo bipartisan. Questo potrebbe voler
dire rompere con parte dei rispettivi gruppi dirigenti, ma meglio perdere la
cadrega che la dignità.
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