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| La Sagrada Familia |
“Un uomo colto, un
europeo dei nostri giorni, può credere, credere proprio, alla divinità del
figlio di Dio, Gesù Cristo?” La lettera enciclica “Lumen Fidei”, che dal cuore
di Benedetto XVI è passato nel cuore di Papa Francesco, è, in un certo senso,
la risposta alla domanda di Dostoevskij. In realtà, è la risposta al sospetto
dell’epoca moderna, che ha tentato di ridurre la fede a qualcosa privo di fondamento
ragionevole, concependola come un salto nel buio.
“La fede ha finito per
essere associata al buio. Si è pensato di poterla conservare, di trovare per
essa uno spazio perché convivesse con la luce della ragione. Lo spazio per la
fede si apriva lì dove la ragione non poteva illuminare, lì dove l’uomo non
poteva più avere certezze. La fede è stata intesa allora come un salto nel
vuoto che compiamo per mancanza di luce, spinti da un sentimento cieco; o come
una luce soggettiva, capace forse di riscaldare il cuore, di portare una
consolazione privata, ma che non può proporsi agli altri come luce oggettiva e
comune per rischiarare il cammino” (par. 3).
La Lumen Fidei ripropone, con particolare
attrattiva persuasiva, il dialogo tra
fede e ragione, in confronto diretto con la sensibilità moderna, salvando
quest’ultima dalle sue stesse riduzioni, che la conducono al buio. Il testo
delinea l’affascinante percorso di conoscenza di cui è protagonista la persona
nell’impatto con la realtà: percorso in cui si esaltano l’energia conoscitiva e
la forza affettiva del soggetto, mettendo in gioco la libertà dell’essere. Non si
raggiunge certezza sulla realtà se non si fa esperienza di amore alla realtà
medesima cui aderire liberamente. “La fede appare, dice l’enciclica, (par. 30)
come un cammino dello sguardo, in cui gli occhi si abituano a vedere in
profondità”. “Dal fides ex auditu di S. Paolo (la fede viene dall’ascolto, par.
29) all’oculata fides degli Apostoli davanti alla visione corporea del Risorto (la
fede che vede!, secondo l’espressione di S. Tommaso d’Aquino, par. 30): “la
verità che la fede ci dischiude è una verità centrata sull’incontro con Cristo,
sulla contemplazione della sua vita, sulla percezione della sua presenza.
Capiamo, allora, perché insieme all’ascoltare e al vedere, la fede è, per S. Giovanni,
un toccare….”toccare la carne di Cristo”, secondo la mirabile espressione di
Papa Francesco nell’incontro con i movimenti in piazza S. Pietro il 18 maggio
scorso. La fede, dunque, è un itinerario dello sguardo di fronte alla Realtà,
“l’imbattersi in un fatto, in un avvenimento”, direbbe don Giussani, di fronte
al quale si esalta il “cuore”, intravedendo la risposta alle sue dimensioni
costitutive: “Il cuore, nella Bibbia, è il centro dell’uomo, dove si
intrecciano tutte le sue dimensioni: il corpo e lo spirito; l’interiorità della
persona e la sua apertura al mondo e agli altri; l’intelletto, il volere e
l’affettività” (par. 26). Dall’esperienza
di un Amore che corrisponde al cuore, nell’unità di intelletto ed affettività, nasce
nella persona la luce della fede. “Poichè la fede nasce da un incontro che
accade nella storia e illumina il nostro cammino nel tempo, essa si deve
trasmettere nella storia” (par. 38): è un avvenimento che si rinnova nel tempo
attraverso una catena interminabile di testimoni nella cui vita risplende un di
più di letizia e di gioia, ovvero di luce umana. Questo risplendere, nel tempo,
documenta la razionalità e la chiarezza dell’atto di fede. Perciò, credere è
comprendere; è conoscere. Il cristiano non è un visionario: egli conosce la
vita nuova che viene da Cristo, quindi, Cristo stesso, nella carne e attraverso la carne. Per sottolineare questa
carnalità, l’enciclica ripropone la polemica di sant’Ireneo contro gli
gnostici. E’ un tema su cui il Cardinale Bergoglio si soffermava spesso nelle
interviste alla rivista “Trenta Giorni”, diretta da Giulio Andreotti, e che
Papa Francesco ha riproposto nell’incontro con il CELAM (Consiglio Episcopale
Latino Americano) durante la visita in Brasile, per la Giornata Mondiale
della Gioventù. E’un tema rispetto al quale don Giussani era sensibilissimo: “Santità, disse a Giovanni Paolo II, il pericolo per la
fede non è l’agnosticismo, ma lo gnosticismo”. “Sant’Ireneo di Lione l’ha
chiarito in opposizione agli eretici gnostici. Costoro sostenevano l’esistenza
di due tipi di fede, una fede rozza, la fede dei semplici, imperfetta, che si
manteneva al livello della carne di Cristo e della contemplazione dei suoi
misteri; e un altro tipo di fede più profondo e perfetto, la fede vera
riservata ad una piccola cerchia di iniziati che si elevava con l’intelletto al
di là della carne di Gesù verso i misteri della divinità ignota. Davanti a
questa pretesa, che continua ad avere il suo fascino e i suoi seguaci anche ai
nostri giorni, sant’Ireneo ribadisce che la fede è una sola, perché passa
sempre per il punto concreto dell’incarnazione, senza superare mai la carne e
la storia di Cristo, dal momento che Dio si è voluto rivelare pienamente in
essa. E’ per questo che non c’è differenza nella fede tra “colui che è in grado
di parlare più a lungo e “colui che ne parla poco”, tra colui che è superiore e
chi è meno capace: né il primo può ampliare la fede, né il secondo diminuirla”
(L. F. par 47). La riflessione finale della Lumen Fidei sulla “fede e il bene
comune” è la documentazione dell’attrattiva Gesù nella storia. “Dio prepara per
loro una città”: è la storicità dell’intelligenza della fede che esalta l’arte
dell’edificare. “Sì, la fede è un bene di tutti, è un bene comune, la sua luce
non illumina solo l’interno della Chiesa, né serve unicamente a costruire una
città eterna nell’aldilà; essa ci aiuta a edificare le nostre società, in modo
che camminiamo sicuri verso un futuro di speranza”. Qui sta la dimostrazione
della suprema razionalità della fede, documentando la sua fecondità nel creare
“nuove forme di vita e di lavoro per la vita dell’uomo”, come sottolineò
Giovanni Paolo II al Meeting di Rimini nel 1981. Oggi, più di allora, la
medesima sfida.
caro Mediatore socio-istituzionale, mi ha colpito molto che hai scelto per il tuo editoriale sulla Lumen Fidei l'immagine dell'interno della Sagrada familia di Gaudì.In effetti Gaudi' amava moltissimo la luce soprattutto diceva "la luce del Mediterraneo, perchè non è nè troppo forte e nè troppo debole, è proprio quella giusta che fa vedere quindi meglio le cose. e non è un caso che l'arte è nata nel Mediterraneo (pensiamo all'arte greca)." L'arte infatti nasce dallo stupore per la realtà, dalla bellezza delle forme, dalla bellezza di ciò che si vede. E non è un caso quindi che la filosofia, cioè l'amore e la passione per la conoscenza ha trovato uno sviluppo formidabile nel Mediterraneo (anche qui pensiamo ai Greci) e la filosofia non nasce forse dallo stupore per ciò che si vede ( non è forse l'arte del pensiero?). Ma non è un caso che il Cristianesimo introducendo nella storia la Luce che illumina ogni uomo cioè Cristo, ha realizzato e compiuto ciò che altrimenti sarebbe rimasto incompiuto e cioè l'amore della conoscenza dei Greci, il diritto e il senso dello Stato dei Romani e la Promessa del popolo eletto cioè gli Ebrei. E non è forse vero che queste 3 grandi città, Atene, Roma e Gerusalemme affacciano sul Mediterraneo?
RispondiEliminaSilvio