Sono diventati quotidiani gli
attacchi a Papa Francesco per la mancata “dichiarazione di guerra giusta” in
difesa dei cristiani perseguitati in Iraq. Si tratta di persecuzione che non
avviene solo in Iraq, ma in fasce sempre più ampie del mondo intero, acquisendo
dimensioni mai conosciute nel corso della bimillenaria storia del
cristianesimo. L’instaurazione del califfato jihadista in Iraq, con la pretesa
di chiedere ubbidienza a tutti i musulmani nel mondo, ne è l’ultima tragica
versione. Dunque, guerra giusta? “Quante volte, ha detto il Papa di ritorno con
i giornalisti dalla Corea, con la scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le
potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una bella guerra di
conquista?” In realtà, soprattutto nell’attuale
sfera geo-politico-finanziaria mondiale, il principio di guerra giusta,
unilateralmente applicato, facilmente si sposerebbe con altri fini ed altri
interessi estranei alla causa della pace ed alla stessa esistenza dei
cristiani. Nel nome di un “principio giusto”, Bush intraprese la guerra in
Iraq, aggravando di molto la situazione in quel Paese e nel mondo intero. “Stranamore”:
coloro che ieri appoggiavano il Presidente degli Stati Uniti, sbeffeggiando
l’invocazione di pace da parte di Giovanni Paolo II, oggi invocano Giovanni Paolo II contro Papa Francesco. Nella
drammaticità e nella tragedia del momento internazionale, Papa Francesco sta
riaffermando l’efficacia storica della preghiera e la forza della verità
sull’uomo, celebrando, ad alta voce, la comune umanità di madri, figli, uomini
e donne, nel comune martirio e sacrificio di sangue, utilizzando, tra l’altro, i
mezzi della carità, della diplomazia e della prudenza (che è una virtù
cristiana). Perciò, l’accusa di tiepidezza rivoltagli è falsa e disonesta.
Merita, invece, qualche attenzione in più l’approccio teorico di Massimo
Cacciari. Dice: “Papa Francesco ha abbandonato completamente l’idea cattolica
di guerra giusta. Quando io stabilisco che la guerra deve essere fondata sul
diritto internazionale, il cui organo effettivo è rappresentato dalle Nazioni
Unite, non ha più senso parlare di guerra giusta. La categoria di giusto non ha
a che fare con il diritto positivo. La dignità teorica e teologica della guerra
giusta è fondata sui valori assoluti e irrelativi, che non vengono decisi dalle
Nazioni Unite. …. Per parlare di guerra giusta devo riconoscere in Dio la
volontà di quel conflitto, non affidarmi al diritto internazionale, che nasce
dall’accordo tra diritti positivi nazionali ….. Un grande papa medievale, se ci
fosse un eccidio di cristiani come quello in atto, tenderebbe alla crociata.
Per fortuna l’attuale Papa non lo è. Francesco ragiona in termini realistici.
Però pone alla Chiesa un problema teologico”. Proprio su questo terreno si è
misurato il magistero di Papa Benedetto XVI, come ha sottolineato l’Arcivescovo
Georg Gänswein: “Il cuore del pensiero di Benedetto XVI è una appassionata
difesa per il ritorno del diritto naturale”, “che nell’ultimo mezzo secolo, a
motivo del positivismo giuridico, è stato considerato una dottrina cattolica”.
(“La legge di Re Salomone. Ragione e diritto nei discorsi di Benedetto XVI”, a
cura di Marta Cartabia e Andrea Simoncini. Prefazione di Giorgio Napolitano). Lo stesso Benedetto XVI nel discorso alla
Westminster Hall (settembre 2010) ebbe a dire: “La tradizione cattolica
sostiene che le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili
alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione”. Alle Nazioni Unite
il Pontefice disse: “Il frate domenicano Francisco de Vitoria, a ragione
considerato precursore dell’idea delle Nazioni Unite, aveva descritto la
responsabilità di proteggere come un aspetto della ragione naturale condivisa
da tutte le Nazioni, e come il risultato di un ordine internazionale il cui
compito era di regolare i rapporti tra i popoli”. (Benedetto XVI, Discorso alle
Nazioni Unite, aprile 2008). Il magistero di Benedetto XVI si pone come critica
e superamento della teologia politica, rivendicando lo spazio della ragione in
quanto tale nella controversia pubblica, asserendo la necessità di
purificazione della fede da parte della
ragione, per evitare prassi e concezioni fondamentaliste. Nello stesso tempo, indica
l’urgenza di purificazione della ragione da parte della fede, la quale nella
res publica non ha il compito di una “restaurazione teologica”, bensì la
responsabilità di favorire l’allargamento della ragione, liberandola
continuamente dai confini ristretti e particolaristici rispetto all’orizzonte
ampio del bene comune. Benedetto XVI prima ed ora Papa Francesco sfidano
sull’evidenza dell’umano e sulla forza della ragione, mostrando la razionalità
della fede nella storia. Perciò, un certo “mondo” (cattolico) osteggia il loro
insegnamento.

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