
Siamo grati a Papa Francesco che, nel
corso dell’Udienza con CL, svolgendo la sua riflessione sul carisma che abbiamo
incontrato (riflessione all’interno del carisma stesso), ha dipanato
magistralmente il genio educativo di don
Giussani, che non solo ci decentrava ma ci spiazzava continuamente,
strappandoci dall’autoreferenzialità, immagine parziale di sé e
dell’esperienza, che riduceva e riduce il carisma a schema (istruzioni per
l’uso) e, quindi, la compagnia ad utopia. Spostava lo sguardo! “Della vostra
compagnia me ne infischio”. Era il nostro attardarci in essa senza perforarla
per coglierne l’Origine, senza mendicare Ciò di cui essa è segno visibile. “Mentre
voi parlate di Cristo a casa, pur sentendone il profumo, disse in una casa dei
Memores Domini, Lui è già fuori dalla porta”. Anticipava la sollecitazione di
Francesco ad “uscire”. Era ed è
l’affermazione amorosa della centralità di Gesù che carnalmente si manifesta in
modo sorprendente: spiazzandoci, appunto. Quante volte abbiamo visto don
Giussani indicare “l’ultimo” tra noi, che in modo più persuasivo rendeva
presente l’Origine e lo Scopo del nostro essere insieme. Riecheggiando Peguy,
ci spronava a seguire, per conoscere Gesù, le vie della figliolanza, non quelle
della “discepolanza”. In una équipe del CLU, a Colfosco, ci rammentò di
“strappare il muso da sé e guardare la bellezza incontrata.” E’ una lotta
continua. “Voi siete responsabili della riduzione del carisma o del suo
incremento” (Dare la vita per l’opera di un Altro, 1992). Talvolta era
durissimo: “Un attimo prima di tutto c’è Cristo, ma a voi di questo prima non
ve ne frega niente”. Disse il Cardinal Ratzinger al suo funerale: “E’ divenuto
realmente padre di molti e, avendo guidato le persone non a sé, ma a Cristo,
proprio ha guadagnato i cuori”. Così, nella vita personale di ciascuno di noi;
così nella vicenda sociale e culturale del movimento nella sua espressione
comunitaria. Alberto Savorana nella “Vita di don Giussani” ripercorre la lotta
di don Gius, per impedire la riduzione dell’esperienza ad ideologia, affermando
la forza di Avvenimento del Fatto cristiano, non riducibile al già saputo. Accadde
nel ‘68, quando si depotenziò la comunione come esperienza di liberazione,
aderendo alla mentalità ideologica dominante. Accadde nel 1976, quando l’utopia
dell’egemonia (un nostro progetto) scalzò la presenza identificata in un
soggetto vivo, che si esprime “ironicamente” attraverso gesti di carità e di
umanità. “La presenza agisce per tentativi ironici”. “La lotta dura,
incessante, pesante a cui i tempi ci hanno costretti ha centrifugato il
possesso che noi abbiamo di noi stessi, ha centrifugato la coscienza di noi
stessi”. Accadde negli anni ‘80, contestando il “famoso” titolo de “Il Sabato”
(“Ripartiamo da 32”, dopo i risultati del referendum sulla legge pro aborto), per
ribadire: “Si riparte da Uno”. Agli universitari disse: “Ecco, questo è il
momento in cui sarebbe bello essere solo in dodici in tutto il mondo. Vale a
dire: è un momento in cui si ritorna all’inizio, perché è stato dimostrato che
la mentalità non è più cristiana. Il cristianesimo come presenza stabile,
consistente, e perciò capace di “tradere” (tradizione, comunicazione), non c’è
più”. “La fine di un mondo”. In questo contesto storico-culturale, la sua costante
preoccupazione, la sua genialità: ripartire dall’Origine, evitando di
“pietrificare” il movimento riducendolo ad ONG o a corporazione organizzata,
contestando la nostra autoreferenzialità come “ricerca” di una Patria. “Voi
siete senza Patria”, seguendo Giovanni Paolo II. Nell’Udienza del 7 marzo,
Pietro ha confermato il carisma, rafforzandolo, secondo la sua stessa vocazione,
nell’affronto delle sfide del presente. Che grazia! “Così, centrati in Cristo e
nel Vangelo, voi potete essere braccia, mani, piedi, mente e cuore di una
Chiesa “in uscita”. Il senso stesso del Pontificato. “Il cristianesimo, citando
don Giussani, non si realizza mai nella storia come fissità di posizioni da
difendere, che si rapportino al nuovo come pura antitesi; il cristianesimo è
principio di redenzione, che assume il nuovo, salvandolo”. Pietro fa propria
l’intimità della nostra esperienza: una fecondità nella storia che non si pone
come mera antitesi, bensì come avvenimento di trasfigurazione dell’esistente
personale e dell’esistente storico. Non in forza di un progetto, bensì con la
potenza di una “fragile” vita nuova nelle contraddizioni del tempo. Come
accadde nei primi secoli del cristianesimo; come accadde per le grandi sintesi
culturali ad opera dei maestri della fede e della ragione. Don Giussani come
loro. Noi, per grazia, per le vie della figliolanza sempre da riconoscere ed
accettare, semplici artigiani: costruttori di umanità nuova nello spazio del
nostro tempo e del nostro lavoro. Questa lunga marcia è per la maturità della
persona, per la conoscenza del suo Essere, per la sua libertà. E’ proprio vero
quanto ci ha detto don Carròn: “Noi andiamo dal Papa perché senza il legame con
lui non ci sarebbe un’esperienza come quella del movimento. Il fondamento
ultimo di questa esperienza, come ci ha sempre ricordato don Giussani, è il
legame con la fragilità di Pietro. Senza questo legame un’esperienza come CL
non si potrebbe neanche sognare”. (Pacengo di Lazise (Verona), 15 febbraio
2015).
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