
“E
l’italicum va”. Non esistono leggi perfette, specialmente quelle
elettorali. L’italicum contiene alcune cose migliorabili (bastava “poco”, ma è
prevalsa l’arroganza della superficialità), altre in perfetta continuità con il
famigerato porcellum. L’on. le Lupi, capogruppo di Area Popolare alla Camera
dei deputati, per giustificare il voto favorevole dell’Area ha scomodato Aldo
Moro, il quale espose le ragioni del
ricorso al voto di fiducia sulla cosiddetta “legge truffa” del 1953. In realtà,
la legge voluta da De Gasperi non ha nulla a che vedere con l’italicum. Bisognava
raggiungere il 50% più uno dei voti validi (da parte di una lista o gruppo di
liste collegate), per conseguire il premio di maggioranza. Effettivamente il
“premio” era attribuito alla maggioranza, onde consentire, in linea con la
volontà dell’elettorato, la piena governabilità. Altra cosa è la lista unica
dell’italicum; altra cosa è “elargire” un superpremio senza alcuna soglia al secondo
turno. Per il renzellum vale piuttosto ciò che un Presidente Emerito della
Corte Costituzionale mi dichiarò a proposito delle analogie tra l’italicum e la
legge Acerbo: “quella (l’Acerbo) attribuiva il premio alla maggioranza; questa lo
assegna alla minoranza”. Richiamarsi a Moro, per il sostegno all’attuale legge
elettorale, è una delle prove più evidenti di superficialità dell’attuale
classe politica nel Parlamento dei nominati, con responsabilità di governo.
Proseguendo nel suo ragionamento, Lupi ha affermato che la nuova legge
garantisce la rappresentanza. Permette, cioè, a differenza della prima versione,
escogitata dal trio Renzi/Berlusconi/Verdini (gli ultimi due: vecchi suoi
compagni di viaggio), il diritto di tribuna alle formazioni che raggiungono il
3% . La rappresentatività è altra cosa. Essa è totalmente tradita, capovolta e
stravolta quando una minoranza, ottenendo, ad esempio, il 25% dei voti, si
ritrova il 53% dei seggi. Infine, il capogruppo di Area Popolare ha dato il
massimo di sé: “Questa legge restituisce il diritto di scelta all’elettore”,
facendo riferimento alla preferenza. Per il partito vincente una certa libertà
di scelta dell’elettore effettivamente sussiste. Per il partito soccombente e
le formazioni minori l’unico eletto sarà il capobastone nominato dal vertice
del partito. Con ciò si nega, alla radice, l’uguaglianza delle condizioni di
voto, garantendo solo agli elettori del partito che vince il diritto alla
preferenza. Concludendo, l’ex ministro ha promesso l’impegno del suo partito
per introdurre i necessari contrappesi quando la riforma costituzionale (per il
superamento del bicameralismo paritario) sarà nuovamente esaminata al Senato. Dove
si trovava il suo partito quando al Senato la riforma costituzionale è passata,
con il voto favorevole di PD, Area Popolare, Forza Italia e Sciolta
Civica, senza alcun contrappeso? La
dottrina dei contrappesi (principio fondamentale della democrazia), in quel momento decisivo ed in quella sede, è
stata totalmente ignorata. Chi proviene da una certa tradizione dovrebbe avere
le antenne sensibili rispetto ai temi fondamentali della convivenza civile. E’
la lezione storica, oggi viva più che mai, del vero popolarismo: da Sturzo e De
Gasperi ad Andreotti e Moro.
Aniello Landi per Buongiorno
Democrazia
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