
Questo
editoriale non intende essere, e non lo è, un commento al libro di don Carrón
“La bellezza disarmata”. Del testo, al momento, ho letto la prefazione, a cura
di Javier Prades, Rettore dell’Università San Damaso di Madrid. Pertanto, la
presente riflessione è un “pensiero improvviso”, ad alta voce, tra amici. Trattando
dell’interpretazione culturale della fede, riassumendo, a riguardo, le
osservazioni del Cardinale Scola, Prades riporta l’affermazione, a noi cara,
tante volte ricordata da don Giussani, di Giovanni Paolo II: “Una fede che non
diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non
fedelmente vissuta. (Discorso al Meic, 1982). In una serata surreale (un po’
come quella che ricorderò in seguito), a Vallo della Lucania, con Ciccio e
Luciano Valla, ebbi modo di intervistare don Giussani, il quale, riferendosi a
Giovanni Paolo II, parlò di “charme”. Gli piacque pronunciare, in
quell’occasione, il termine in francese, come per sottolinearne la “nota”
speciale: Paolo VI sosteneva che la “lingua francese contiene il magistero
dell’essenziale”. Don Giussani così vedeva il Papa: Uomo dello charme, per la
sua identificazione razionale del cristianesimo con l’umano, esaltando la
dimensione storica, “secolaresca” dell’esperienza cristiana, come don Gius affermò
nella lettera a Panorama, in occasione dei venticinque anni di Pontificato di
Giovanni Paolo II. Nella “serata surreale” (Palazzo Apostolico, Esercizi
Spirituali degli universitari centro sud di CL, gennaio 1980), il Papa
pronunciò le memorabili parole: “La cultura fa l’uomo; l’uomo fa la cultura … il
vostro modo di avvicinare i problemi dell’uomo è anche vicino al mio. Posso
dire che è lo stesso.” E’ il metodo che definisce l’integralità di una
posizione culturale, grazie alla fede come abbraccio alla totalità della
realtà, capace di incontrare e valorizzare. In questo focus valorizzatore sta
la chiave di lettura, l’autentica ermeneutica di una fede culturalmente pregnante,
ossia in grado di trasfigurare, qui ed ora, l’uomo e la realtà. Uno “sguardo
primerea”, come amiamo ripetere con gli amici prossimi, che viene prima delle
analisi e dei criteri aprioristici da applicare. Dunque, la fede che diventa
cultura: molto, ma molto di più, (anzi, altro) rispetto ai criteri di “mordente”
politico-culturale, come reclama qualche sostenitore dell’ideologia del
“giussanesimo”. Ciò che veramente è in gioco è la costruzione di una cattedrale
vivente: l’io che si ridesta, creando una compagnia viva, non un blocco, di io:
uomini e donne sovversivi, che sovvertono il quotidiano, trasformandolo,
trasfigurandolo nella più “romantica delle avventure”. La
fede che diventa cultura. Non l’illusione di una “apparente egemonia”; non il
tentativo di presidiare spazi, come “soldati stanchi che non vogliono
desistere”, bensì una potente testimonianza di vita, di vita bella, grazie allo
charme di un incontro vero: qui ed ora.
bello!
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