venerdì 25 settembre 2015

Lo charme della bellezza


Questo editoriale non intende essere, e non lo è, un commento al libro di don Carrón “La bellezza disarmata”. Del testo, al momento, ho letto la prefazione, a cura di Javier Prades, Rettore dell’Università San Damaso di Madrid. Pertanto, la presente riflessione è un “pensiero improvviso”, ad alta voce, tra amici. Trattando dell’interpretazione culturale della fede, riassumendo, a riguardo, le osservazioni del Cardinale Scola, Prades riporta l’affermazione, a noi cara, tante volte ricordata da don Giussani, di Giovanni Paolo II: “Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta. (Discorso al Meic, 1982). In una serata surreale (un po’ come quella che ricorderò in seguito), a Vallo della Lucania, con Ciccio e Luciano Valla, ebbi modo di intervistare don Giussani, il quale, riferendosi a Giovanni Paolo II, parlò di “charme”. Gli piacque pronunciare, in quell’occasione, il termine in francese, come per sottolinearne la “nota” speciale: Paolo VI sosteneva che la “lingua francese contiene il magistero dell’essenziale”. Don Giussani così vedeva il Papa: Uomo dello charme, per la sua identificazione razionale del cristianesimo con l’umano, esaltando la dimensione storica, “secolaresca” dell’esperienza cristiana, come don Gius affermò nella lettera a Panorama, in occasione dei venticinque anni di Pontificato di Giovanni Paolo II. Nella “serata surreale” (Palazzo Apostolico, Esercizi Spirituali degli universitari centro sud di CL, gennaio 1980), il Papa pronunciò le memorabili parole: “La cultura fa l’uomo; l’uomo fa la cultura … il vostro modo di avvicinare i problemi dell’uomo è anche vicino al mio. Posso dire che è lo stesso.” E’ il metodo che definisce l’integralità di una posizione culturale, grazie alla fede come abbraccio alla totalità della realtà, capace di incontrare e valorizzare. In questo focus valorizzatore sta la chiave di lettura, l’autentica ermeneutica di una fede culturalmente pregnante, ossia in grado di trasfigurare, qui ed ora, l’uomo e la realtà. Uno “sguardo primerea”, come amiamo ripetere con gli amici prossimi, che viene prima delle analisi e dei criteri aprioristici da applicare. Dunque, la fede che diventa cultura: molto, ma molto di più, (anzi, altro) rispetto ai criteri di “mordente” politico-culturale, come reclama qualche sostenitore dell’ideologia del “giussanesimo”. Ciò che veramente è in gioco è la costruzione di una cattedrale vivente: l’io che si ridesta, creando una compagnia viva, non un blocco, di io: uomini e donne sovversivi, che sovvertono il quotidiano, trasformandolo, trasfigurandolo nella più “romantica delle avventure”. La fede che diventa cultura. Non l’illusione di una “apparente egemonia”; non il tentativo di presidiare spazi, come “soldati stanchi che non vogliono desistere”, bensì una potente testimonianza di vita, di vita bella, grazie allo charme di un incontro vero: qui ed ora. 

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