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Nel Discorso alla Chiesa italiana, in
occasione del V Convegno Nazionale (Cattedrale di Santa Maria in Fiore,
Firenze, 10 novembre 2015), il Papa ha fissato lo sguardo di tutti sul “misericordiae
vultus”: “Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di
Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo.
E’ la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo”. “Nacque il tuo nome da ciò che fissavi”: dice Karol Wojtyla nella poesia dedicata alla Veronica. L’umanesimo cristiano è Cristo stesso, che svela pienamente l’uomo all’uomo. Dal fissare lo sguardo di Gesù rinasce anche il volto sociale della fede, come documenta la tradizione dell’ “umanesimo cristiano popolare” nel nostro Paese. In tale contesto, Papa Francesco ha ricordato il genio popolare di Giovannino Guareschi, facendo riferimento alla duo don Camillo e Peppone. Da questa “fotografia” uno spunto di riflessione. “Il cristianesimo è una religione democratica fondata sul lavoro”. Democratica, nel senso dell’ethos del popolo. E’ l’arringa di don Camillo agli uomini del lavoro nella piazza della comunità, alla presenza di Peppone. Quanto ci piace! “Io vi conosco uomini splendidi”, afferma ancora in un suo componimento poetico Karol Wojtyla, riguardando nel suo animo i volti degli operai che aveva conosciuto, lavorando con loro, nella cava di pietra. E’ la sensibilità dell’intelligenza: uno sguardo delicato e profondo che abbraccia tutto l’io. “Il lavoro è un dialogo con se stessi”, aveva detto Papa Francesco ai giovani in Molise, chiedendo un patto per il lavoro. Una sensibilità che nasce dal guardare quel Volto, cioè, dall’essere guardati in modo vero e profondo, svelando l’Essere che ci costituisce. E’ l’essere toccati dalla tenerezza della carne di Cristo nella testimonianza di volti vivi, viventi. Una Presenza, solamente Presenza. Dall’imbatto in essa si risveglia l’io, sospingendo all’azione, al lavoro nella realtà. Una Presenza che vive di gesti di umanità e di carità, che si muove all’incontro con l’altro, condividendo problemi e bisogni, per condividere il senso della vita. Da qui la rinascita di un popolo, favorendo, secondo l’espressione del Papa, “l’amicizia sociale”. “L’umanesimo cristiano, ha detto il Papa a Firenze, ….. insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce le ragioni per l’allegria e l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte dura”.
E’ la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo”. “Nacque il tuo nome da ciò che fissavi”: dice Karol Wojtyla nella poesia dedicata alla Veronica. L’umanesimo cristiano è Cristo stesso, che svela pienamente l’uomo all’uomo. Dal fissare lo sguardo di Gesù rinasce anche il volto sociale della fede, come documenta la tradizione dell’ “umanesimo cristiano popolare” nel nostro Paese. In tale contesto, Papa Francesco ha ricordato il genio popolare di Giovannino Guareschi, facendo riferimento alla duo don Camillo e Peppone. Da questa “fotografia” uno spunto di riflessione. “Il cristianesimo è una religione democratica fondata sul lavoro”. Democratica, nel senso dell’ethos del popolo. E’ l’arringa di don Camillo agli uomini del lavoro nella piazza della comunità, alla presenza di Peppone. Quanto ci piace! “Io vi conosco uomini splendidi”, afferma ancora in un suo componimento poetico Karol Wojtyla, riguardando nel suo animo i volti degli operai che aveva conosciuto, lavorando con loro, nella cava di pietra. E’ la sensibilità dell’intelligenza: uno sguardo delicato e profondo che abbraccia tutto l’io. “Il lavoro è un dialogo con se stessi”, aveva detto Papa Francesco ai giovani in Molise, chiedendo un patto per il lavoro. Una sensibilità che nasce dal guardare quel Volto, cioè, dall’essere guardati in modo vero e profondo, svelando l’Essere che ci costituisce. E’ l’essere toccati dalla tenerezza della carne di Cristo nella testimonianza di volti vivi, viventi. Una Presenza, solamente Presenza. Dall’imbatto in essa si risveglia l’io, sospingendo all’azione, al lavoro nella realtà. Una Presenza che vive di gesti di umanità e di carità, che si muove all’incontro con l’altro, condividendo problemi e bisogni, per condividere il senso della vita. Da qui la rinascita di un popolo, favorendo, secondo l’espressione del Papa, “l’amicizia sociale”. “L’umanesimo cristiano, ha detto il Papa a Firenze, ….. insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce le ragioni per l’allegria e l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte dura”.
Comprendere il lavoro: si tratta di ricostruire il dinamismo della persona in azione,
accompagnandola ad essere se stessa. L’uomo non si muove senza intravedere
ragioni adeguate, senza la comprensione, ossia il riconoscimento, di un significato
totale che muove l’energia, l’affetto, la ragione e, quindi, tutta la vita. La
comprensione del lavoro è la comprensione di sé all’opera. Una civiltà nuova
nasce sempre da una rinnovata civiltà del lavoro, cioè dall’autocoscienza
dell’io in azione. L’itinerario della persona nel reale, che impariamo nella
storia del carisma di don Giussani, è il percorso che ricostruisce nel
quotidiano le ragioni dell’impegno dell’io nelle “cose”. E’ il ridestarsi del
cuore, senso religioso in atto, di fronte all’evidenza di una Presenza
umanamente affascinante nella fattispecie di una realtà sociale “sui generis”.
Le ragioni dell’allegria e dell’umorismo. E’ l’esprimersi di una Presenza il
cui riverbero è l’allegria, l’umorismo dei “tentativi ironici”, cioè appassionati
e liberi dall’esito. “L’utopia ha come modalità di espressione il discorso, il
progetto e la ricerca ansiosa di strumenti e forme organizzative (le forme di pelagianesimo
e gnosticismo sottolineate dal Papa a Firenze Fiore, n.d.r.). La presenza ha
come modalità di espressione un’amicizia operante, gesti di una soggettività
diversa che si pone dentro tutto, usando di tutto (i banchi, lo studio, il
tentativo di riforma dell’università, ecc.), e che risultano prima di tutto
gesti di umanità reale, cioè di carità”. (Luigi Giussani, Un avvenimento di
vita, una storia. Dall’utopia alla presenza). E’ la descrizione
dell’epifenomeno, colto criticamente nella sua genesi e nel suo sviluppo, di
una presenza che, per l’esperienza di godimento cui introduce, crea, qui ed
ora, come albore, una civiltà. E’, nello stesso tempo, il contributo teorico e
metodologico alla ricostruzione di una presenza originale e creativa nella
società, affermando il bene comune.

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