venerdì 29 gennaio 2016

“Diritti e valori”: una nuova capacità argomentativa

Bouquet di girasoli, Monet
La discussione sui cosiddetti nuovi diritti è in pieno svolgimento, intrecciando motivi culturali, costituzionali, politici. In via preliminare, constatiamo l’incongruenza nel disegno di legge Cirinnà della definizione delle unioni civili come “formazioni sociali specifiche”. Di che si tratta? Si intende andare oltre l’impareggiabile art. 2 della Costituzione, prefigurando formazioni sociali aventi corsie specifiche e preferenziali? In materia costituzionale questo Parlamento ha già fornito pessime prove. Evitiamo altri corti circuiti. In questa sede ci preme affrontare la questione sotto il profilo antropologico-culturale, che è alla radice dell’intera problematica.
In ambito cattolico si sostiene (giustamente) che non si tratta di fare battaglie sui valori morali, bensì di “affermare la ragione di una vera antropologia umana”. Dunque: è una battaglia di ragione. D’accordo, ma “come una ragione si dimostra ragione vera?” E’ l’interrogativo di fondo che pose Benedetto XVI nell’allocuzione alla Sapienza di Roma. E’ questa la grande domanda che trapassa tutta l’esperienza cristiana in ogni epoca storica; per salvare l’umano, essa ha dovuto lottare perché fosse evidente, nel contesto dei tempi, con nuove sintesi, la sua stessa ragionevolezza. Nel tempo attuale, si ripropone l’antica sfida: non la ripetizione di un discorso, benchè giusto, bensì dispiegare, nel contesto storico-culturale (oggi nella società post moderna e post democratica), una nuova capacità argomentativa e persuasiva. L’opera urgente ed ineludibile è sviluppare un “processo di argomentazione sensibile alla verità”, secondo l’affermazione di Habermas. “E’ la questione che ci occupa oggi nei processi democratici di formazione dell’opinione e che al contempo ci angustia per il futuro”. (Allocuzione di Papa Benedetto XVI all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”). Una nuova capacità argomentativa e persuasiva e, quindi, dimostrare criticamente la ragionevolezza di una posizione umana, non appena contrapponendosi reattivamente alle ragioni degli altri, bensì sviluppando più profondamente, in forma pubblica, il dialogo sull’umano: “dialogo tra me e me”, per dirla con Heidegger. Nello sviluppo di questa “frontiera umana” noi leggiamo l’intervento di don Carròn sul Corriere della Sera: oltre il guado reazionario, ovvero della reazione. Si tratta di rendere ragione di “qualcosa che viene prima”: il prius ontologico che definisce l’esperienza umana in quanto tale; prius fenomenologicamente destato dall’incontro del soggetto con le “cose” e criticamente vagliato, nel suo emergere, come “problema” (proballo). Oggi più che mai appare vitale delineare un percorso di ricomprensione del dato originario di sé, perforando il panteismo ed il nichilismo dominanti che, come evidenziò don Giussani nei suoi Esercizi Spirituali più pensosi (Rimini 1997), riducono l’umano desiderio ed alterano, sino al quasi annullamento, la percezione reale del proprio essere. Da dove ripartire? “La lotta al nichilismo è una commozione di vita vissuta”, disse don Giussani nel 1994. Commozione di vita vissuta, ossia il ridestarsi sorprendente e commuovente della persona; il riaccadere dell’esperienza dell’evidenza di sé, in forza di un avvenimento presente, di una pro-vocazione permanente alla vita. E’ l’offerta di una testimonianza di vita e, nello stesso tempo, argomentazione critica di un fatto, di un avvenimento che quella vita rende possibile. “Solo lo stupore conosce”. “Questo stupore per l’uomo giustifica il diritto di cittadinanza della Chiesa nel mondo”. (Giovanni Paolo II, R. H). E’ la “bellezza disarmata”, che attrae e rende ragione, specialmente nell’epoca in cui l’effetto della “nube tossica di Chernobyl” ha obnubilato l’evidenza di ciò che naturalmente è umano, rendendo ancor più drammatica e profetica l’affermazione di Niebuhr: “Nulla è tanto incredibile quanto la risposta ad un problema che non si pone”.
Sul piano strettamente politico-legislativo l’opera più urgente è liberare tutti dalla ricorrente tentazione del bipolarismo etico, tracciando linee divisorie in chiave meramente e strumentalmente ideologica, piegando il confronto alle logiche dell’aritmetica delle maggioranze politiche di turno. E’ un percorso da promuovere, un processo da sviluppare più che l’allestimento di blocchi incomunicanti formato cartelli elettorali. E’ la nuova responsabilità civile dei cattolici impegnati, a vari livelli, in politica, vivendola come la “forma più alta di carità”, secondo l’espressione di Paolo VI, e come la “forma più compiuta di cultura”, secondo don Giussani.
    
Aniello Landi


               

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