Su “Il Sussidiario”
lunga intervista al padre gesuita Bartolomeo Sorge, direttore de “La Civiltà
Cattolica”, promotore del convegno ecclesiale “Evangelizzazione e promozione umana”
(anno 1976), autore di un famoso pamphlet “I cattolici nell’Italia che cambia”,
direttore del centro di formazione politica “Arrupe”, iniziatore della
“primavera siciliana”, con Leoluca Orlando, con cui successivamente ruppe,
rompendo anche con padre Pintacuda. Un protagonista dell’elaborazione
politico-culturale nella vita ecclesiale e civile. Non è questa la sede per una
riflessione approfondita sulla proposta che si tentava di elaborare in quel
tempo, al fine di configurare una “rinnovata” presenza dei cattolici, nel contesto
dei profondi mutamenti culturali da cui era attraversato il nostro Paese. Erano
gli anni post referendum sul divorzio. “Pensavamo che piovesse, non che
diluviasse”: fu l’amara constatazione di Paolo VI di fronte all’esito
referendario. Di lì a qualche anno seguì la conferma popolare alla legge
sull’aborto e, ancor prima la tragedia di Moro, che rappresentò “la fine della
prima Repubblica”, come affermò Ugo La Malfa. Padre Sorge richiama la figura di
Aldo Moro, costruttore di democrazia con una straordinaria capacità di dialogo
e di coinvolgimento delle forze popolari. Nello stesso tempo, in altra parte
dell’intervista, si celebra il manifesto originario del Partito Democratico, la
sua Carta dei Valori (“In quel manifesto c’erano i principali valori della
nuova cultura politica”): intuizione che poi fu soccombente per l’affermarsi
della “logica del manuale Cencelli”. Chi legge potrebbe incautamente tracciare
una linea ideale tra l’intuizione complessiva morotea e il PD, seguendo il
percorso della Lega Democratica (Pietro Scoppola, Beniamino Andreatta …). Il
binomio Moro/PD è una “suggestione” che non sta nella realtà. Si discute
tuttora sulla “terza fase” della Repubblica immaginata dallo Statista
democristiano. Da questo punto di vista, non esiste un “ermeneuta” del pensiero
moroteo: certamente il Presidente lavorava per una democrazia compiuta, disegnando
uno scenario con possibilità di alternativa, ai fini del rafforzamento del
quadro democratico. L’idea strategica era l’incontro tra le grandi culture popolari
che in Moro avveniva nel rispetto e nella valorizzazione delle reciproche
identità, strutturando una stagione di confronto per il bene del Paese. La
terza fase di Moro si inscrive non nella logica della fusione (vedi PD), bensì nel
recupero della dimensione ideale dello spirito costituente, ovvero una
ritrovata capacità di dialogo, ai fini dell’attuazione dei valori costitutivi
di quella stagione. Bisognava proseguire il “duro e pacifico” confronto sui
temi essenziali: il lavoro, stimolando la capacità di creazione delle
opportunità, secondo la più autentica ispirazione personalista; la
valorizzazione delle formazioni intermedie, come afferma l’insuperabile,
magistrale art. 2 della Costituzione, potenziando il pluralismo economico,
sociale e culturale; la promozione nella concezione e nella prassi delle
autonomie locali e sociali, sotto il profilo non solo amministrativo, ma anche
e soprattutto educativo, superando logiche centralistiche e statalistiche; la
centralità mediterranea della politica estera come incontro tra i popoli:
“Nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa e nel Mediterraneo,
poiché l’Europa intera è nel Mediterraneo). Rispetto a questi “nodi”
essenziali, Moro era ben consapevole del lungo cammino da compiere, immaginando
ed avviando il terzo tempo della Repubblica come Patto Costituente tra distinti,
non come “partito unico”.
Nel centenario della nascita di Moro, Luciano Violante ha ricordato, con opportuna citazione, la mitezza dello Statista democristiano, pur nelle fasi più dure dello scontro politico, come fu il processo Lockheed, nonché la sua capacità (inascoltata) di profezia. Ha dimenticato di citare l’affermazione simbolo della mitezza/forte del Presidente: “Non ci lasceremo processare sulle piazze”. Altra profezia inascoltata. (Anche da parte di Violante).
Nel centenario della nascita di Moro, Luciano Violante ha ricordato, con opportuna citazione, la mitezza dello Statista democristiano, pur nelle fasi più dure dello scontro politico, come fu il processo Lockheed, nonché la sua capacità (inascoltata) di profezia. Ha dimenticato di citare l’affermazione simbolo della mitezza/forte del Presidente: “Non ci lasceremo processare sulle piazze”. Altra profezia inascoltata. (Anche da parte di Violante).
Oggi si prova
molta nostalgia a parlare di Aldo Moro: anche disagio, considerando l’attuale panorama
politico.

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