sabato 23 luglio 2016

I cattolici e la “questione meridionale”
















Ciò che è successo in Puglia, tra Andria e Corato, scuote la coscienza di ciascuno di noi. Prevalgono commozione e dolore non riducibili a risposte ed analisi sociologiche, sociali e politiche. Siamo messi tutti con le spalle al muro rispetto all’errore, al limite, alla fragilità, alle miserie umane ineliminabili dalle vicende delle persone, dei territori, delle comunità. C’è bisogno di un di più, per continuare a vivere umanamente, ovvero nella dignità, nella verità e nella ripresa continua del senso del proprio esistere. L’io di ciascuno si ridesta quando viene sorpreso da una novità di vita, quando intravede una prospettiva di realizzazione umana nella testimonianza, nella presenza, nell’operosità di altri uomini, con i quali condividere almeno un tratto del proprio cammino. Questa è la Sorgente che fa rinascere l’esistenza quotidiana. Da qui vogliamo ripartire, chiedendo a noi stessi, prima di tutto, una rinnovata mossa nella realtà che prevalga sul “pessimismo storico”, sempre in agguato e quasi dominante di fronte alle contraddizioni emergenti. Lungo questo itinerario personale rinasce e rivive, con più forza, la responsabilità civile, affrontando con sguardo più vero le sfide sociali e storiche che il tempo, questo tempo, ci pone innanzi. Nel disastro dei treni su quel binario unico, ha fatto ritorno, nel commento degli analisti ed anche nel sentimento popolare, l’antica “questione meridionale” o l’antico (attuale?) antimeridionalismo (tutta colpa del marcio che c’è nel Sud). E’ venuto il tempo ed il momento di riprendere il largo, ritrovando le fonti del bene comune. De Gasperi elaborò ed attuò la riforma agraria nel Mezzogiorno nell’interesse di tutto il Paese, sconfiggendo il latifondismo, cioè valorizzando e promuovendo le energie di nuovi soggetti produttivi a vantaggio di tutti. Questa è la meridionalità oltre il meridionalismo. Oggi è la medesima sfida: generare nuovi soggetti produttivi, valorizzando, moltiplicando, allargando le moderne forme di proprietà:  quelle del sapere, della conoscenza e del capitale umano solidale, sviluppando “economia civile”, il cui teorico Antonio Genovesi ebbe i natali proprio in un paesino meridionale. E’ cultura della responsabilità nazionale, di cui una delle sintesi più acute e feconde fu rappresentata dall’esperienza amministrativa e politica di don Luigi Sturzo nella “periferia” di Caltagirone, delineando una politica per tutto il Paese, ad opera di cattolici. Di questa intelligenza della realtà abbiamo bisogno, rinnovando le ragioni di un impegno personale e comunitario. L’urgenza che si impone è l’azzeramento delle categorie culturali e politiche dominanti nella seconda Repubblica, i cui sotto-protagonisti hanno privilegiato primariamente la costruzione di muri, non risolvendo le grandi questioni e compromettendo gli argini costituzionali dell’ordinamento politico. Da una parte, l’asse del nord (Berlusconi-Bossi), con l’ingrediente inutile di cattolici orpello; dall’altra, l’Ulivone prodiano, che ha prodotto la più scellerata definizione dei criteri di riparto delle risorse del Fondo Sanitario Nazionale, affossando la Campania ancor più della malasanità. Il Mezzogiorno non ha bisogno di aiuti ad hoc. E’ l’Italia che ha bisogno di una complessiva politica di “meridionalità”, come insegna il lungimirante pensiero cattolico sociale nel Mezzogiorno. Ne ha bisogno l’Europa, per non trovarci tutti su un unico binario morto. Di fronte a tale sfida, più che costruire schieramenti e cartelli elettorali, si tratta innanzitutto di generare processi di “sinodalità civile”, valorizzando creativamente le capacità di dialogo e di lavoro comune, per costruire la casa di tutti.

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