Il confronto
sulla riforma istituzionale si inasprisce sempre di più. Occorrerebbe maggiore
serenità e razionalità nel valutare il merito di ciò che essa è nella realtà. Sulla
rivista Tracce, n. ottobre, Andrea Simoncini (docente di Diritto Costituzionale
all’Università di Firenze) argomenta un tentativo in tal senso, soffermandosi
anche su cosa la riforma oggetto di referendum “non contiene”, al fine di
evitare confusione nella formulazione di un giudizio. Scrive: “In questa
riforma non si stabilisce come verrà eletta la nuova Camera dei Deputati,
perché questo è argomento della legge elettorale (il ben noto italicum); e
questa legge è già stata votata (tra l’altro da un’amplissima maggioranza
parlamentare e, sorprendentemente, senza il clamore cui oggi assistiamo) ed è
già in vigore. Indubbiamente propone un sistema elettorale che attribuisce un
premio molto forte a chi ha anche solo una maggioranza relativa dei voti. I
dubbi, per questa ragione, sono molti ed anche legittimi, perché si potrebbe
creare uno scenario in cui una minoranza finisce per governare Parlamento ed
esecutivo. Ma questo, appunto, non è in discussione il 4 dicembre”. Giusto il
chiarimento informativo e la distinzione tra le due “cose”: legge elettorale e
riforma del Senato per il superamento del bicameralismo paritario. Ma le due “cose”
non sono, in alcun modo, separabili. Per giudicare occorre valutare la totalità
dei fattori. Stupisce che emeriti costituzionalisti non colgano
l’inscindibilità della questione. Separare non è buona informazione, oltre che fuorviante
il giudizio. Proprio perché sarà la sola Camera dei Deputati a votare la
fiducia al governo (o sciaguratamente una dichiarazione di guerra), diventa
decisiva e fondamentale la legge con cui questa Camera sarà eletta, ben sapendo
che il sistema elettorale decide della democraticità o meno di uno Stato. L’italicum
desta preoccupazione al senso democratico e disagio al buon gusto. In primis,
perché la metà circa dell’unica “Camera fiduciaria” sarà composta da nominati, consacrando
il circuito di “vassallaggio parlamentare”: vassalli (i nominati del partito
vincente); valvassori (i nominati del partito secondo al ballottaggio);
valvassini (i nominati dei partiti minori che superano il 3%). E questo di per
sè desta ragionevoli preoccupazioni. Inoltre, come evidenzia Simoncini, l’italicum
non prevede, al secondo turno, alcuna soglia per ottenere il super premio di
maggioranza, premiando esageratamente la maggiore minoranza con la maggioranza
assoluta dei seggi. Dal punto di vista di una buona Costituzione è una
mostruosità. Mi diceva un Presidente emerito della Corte Costituzionale che la
legge Acerbo (di memoria fascista) attribuiva il premio alla maggioranza;
l’italicum lo attribuisce alla minoranza. Questo basti per giudicare! Il 4
dicembre, perciò, è ragionevole considerare anche ciò che il quesito
referendario non dice e “non contiene”, guardando all’assetto costituzionale
complessivo. Nello specifico la riforma del Senato mira a superare il bicameralismo
paritario. Cosa buona e giusta in un sistema costituzionale organicamente
articolato, secondo pesi e contrappesi, coniugando governabilità e
rappresentatività. Proprio quanto manca alla riforma in discussione. Se da un
lato, si tenta di superare il bicameralismo paritario, dall’altro, si afferma di
fatto un monocameralismo forzoso e squilibrato, producendo storture più gravi
di quelle che si intendono eliminare. Alla Camera dei Deputati squilibrata, per
le ragioni sopra evidenziate, si aggiunge un Senato falsificato: “satellite”
del peggiore regionalismo. Innanzitutto ibrido appare il sistema elettorale per
la sua formazione. I senatori saranno designati dall’elettore, ma eletti dai
Consigli Regionali. Il che è legittimo; tuttavia, occorre una legge che
disciplini il meccanismo della designazione-elezione. Ad oggi questa legge
manca. Qualcuno dirà: “Stai sereno”: si farà! Ma quando si farà? E come si
farà? I consiglieri/senatori costituiranno una classe politica “ambigua”, nel
senso costituzionale non morale: non saranno né diretti rappresentanti del
popolo, né diretti rappresentanti del governo regionale, come avviene nel
Bundesrat tedesco. Si determinerebbe, per così dire, una zona
costituzionalmente “grigia”, ben lontana dalla Camera Alta delle Autonomie. Secondo
la Renzi-Boschi il Senato diventerà organo rappresentativo delle autonomie
territoriali. Ma quale autonomia? Sarà l’esatto contrario. Il suddetto organo non
avrà nessuna competenza in materia di bilancio dello Stato; pertanto, alle autonomie
sarà negato il diritto di intervenire e decidere in materia di perequazione
delle risorse, di solidarietà economica e di coesione sociale, nonché di
sviluppo sussidiario dei territori. Il Bundesrat tedesco ha specifiche
competenze finanziarie vincolanti relativamente agli interessi dei Länder. L’alternativa
al regionalismo centralista, che specialmente in alcune Regioni ha dato pessima
prova di sé, in particolare nella sanità e nei servizi alla persona, non sta
nel centralismo statalista, imperniato sulla burocrazia ministeriale, bensì
nella costituzionalizzazione di una reale Camera Alta delle Autonomie
(Bundesrat). A valle di essa, ripensare le Regioni come Enti territoriali di
indirizzo e programmazione su scala macro ed interregionale, sottraendo alla titolarità
regionale le attività burocratico-gestionali. Così, si avvia sul serio la
riduzione dei costi della politica, ovvero dell’apparato prodotto dalla
politica stessa, andando veramente oltre la pura propaganda. Questa è la vera
Riforma tradita. Ultimo punto della questione. Si afferma che questa riforma
non tocchi la Parte Prima della Costituzione: i Principi fondamentali. (Simoncini:
“Questa parte – la Prima – non è in
discussione”). In realtà, vengono stravolti gli articoli fondamentali, sia mortificando
le formazioni intermedie, le quali vivono nei territori, servendo le primarie realtà
sociali nelle comunità locali, sia riducendo il valore culturale e giuridico
delle autonomie, che i padri costituenti riconobbero e valorizzarono. “La
Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come
singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e
richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale” (Art. 2); “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e
promuove le autonomie locali, attua nei servizi che dipendono dallo Stato il
più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua
legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento” (Art. 5).
Repetita iuvant! Vada come vada, a noi interessa la vita vera; quella che, in
una storia vivente, ora, accende e riaccende, per grazia, l’umano desiderio; e contribuire,
con passione e sacrificio, a generare, in un certo qual modo, “nuove forme di vita
e di lavoro per l’uomo”, “nell’esistente personale e nell’esistente storico”, partecipando,
tentativamente, consapevoli dei personali tradimenti, alla santità sociale del
carisma che abbiamo incontrato. martedì 25 ottobre 2016
No! Non è il Senato delle Autonomie
Il confronto
sulla riforma istituzionale si inasprisce sempre di più. Occorrerebbe maggiore
serenità e razionalità nel valutare il merito di ciò che essa è nella realtà. Sulla
rivista Tracce, n. ottobre, Andrea Simoncini (docente di Diritto Costituzionale
all’Università di Firenze) argomenta un tentativo in tal senso, soffermandosi
anche su cosa la riforma oggetto di referendum “non contiene”, al fine di
evitare confusione nella formulazione di un giudizio. Scrive: “In questa
riforma non si stabilisce come verrà eletta la nuova Camera dei Deputati,
perché questo è argomento della legge elettorale (il ben noto italicum); e
questa legge è già stata votata (tra l’altro da un’amplissima maggioranza
parlamentare e, sorprendentemente, senza il clamore cui oggi assistiamo) ed è
già in vigore. Indubbiamente propone un sistema elettorale che attribuisce un
premio molto forte a chi ha anche solo una maggioranza relativa dei voti. I
dubbi, per questa ragione, sono molti ed anche legittimi, perché si potrebbe
creare uno scenario in cui una minoranza finisce per governare Parlamento ed
esecutivo. Ma questo, appunto, non è in discussione il 4 dicembre”. Giusto il
chiarimento informativo e la distinzione tra le due “cose”: legge elettorale e
riforma del Senato per il superamento del bicameralismo paritario. Ma le due “cose”
non sono, in alcun modo, separabili. Per giudicare occorre valutare la totalità
dei fattori. Stupisce che emeriti costituzionalisti non colgano
l’inscindibilità della questione. Separare non è buona informazione, oltre che fuorviante
il giudizio. Proprio perché sarà la sola Camera dei Deputati a votare la
fiducia al governo (o sciaguratamente una dichiarazione di guerra), diventa
decisiva e fondamentale la legge con cui questa Camera sarà eletta, ben sapendo
che il sistema elettorale decide della democraticità o meno di uno Stato. L’italicum
desta preoccupazione al senso democratico e disagio al buon gusto. In primis,
perché la metà circa dell’unica “Camera fiduciaria” sarà composta da nominati, consacrando
il circuito di “vassallaggio parlamentare”: vassalli (i nominati del partito
vincente); valvassori (i nominati del partito secondo al ballottaggio);
valvassini (i nominati dei partiti minori che superano il 3%). E questo di per
sè desta ragionevoli preoccupazioni. Inoltre, come evidenzia Simoncini, l’italicum
non prevede, al secondo turno, alcuna soglia per ottenere il super premio di
maggioranza, premiando esageratamente la maggiore minoranza con la maggioranza
assoluta dei seggi. Dal punto di vista di una buona Costituzione è una
mostruosità. Mi diceva un Presidente emerito della Corte Costituzionale che la
legge Acerbo (di memoria fascista) attribuiva il premio alla maggioranza;
l’italicum lo attribuisce alla minoranza. Questo basti per giudicare! Il 4
dicembre, perciò, è ragionevole considerare anche ciò che il quesito
referendario non dice e “non contiene”, guardando all’assetto costituzionale
complessivo. Nello specifico la riforma del Senato mira a superare il bicameralismo
paritario. Cosa buona e giusta in un sistema costituzionale organicamente
articolato, secondo pesi e contrappesi, coniugando governabilità e
rappresentatività. Proprio quanto manca alla riforma in discussione. Se da un
lato, si tenta di superare il bicameralismo paritario, dall’altro, si afferma di
fatto un monocameralismo forzoso e squilibrato, producendo storture più gravi
di quelle che si intendono eliminare. Alla Camera dei Deputati squilibrata, per
le ragioni sopra evidenziate, si aggiunge un Senato falsificato: “satellite”
del peggiore regionalismo. Innanzitutto ibrido appare il sistema elettorale per
la sua formazione. I senatori saranno designati dall’elettore, ma eletti dai
Consigli Regionali. Il che è legittimo; tuttavia, occorre una legge che
disciplini il meccanismo della designazione-elezione. Ad oggi questa legge
manca. Qualcuno dirà: “Stai sereno”: si farà! Ma quando si farà? E come si
farà? I consiglieri/senatori costituiranno una classe politica “ambigua”, nel
senso costituzionale non morale: non saranno né diretti rappresentanti del
popolo, né diretti rappresentanti del governo regionale, come avviene nel
Bundesrat tedesco. Si determinerebbe, per così dire, una zona
costituzionalmente “grigia”, ben lontana dalla Camera Alta delle Autonomie. Secondo
la Renzi-Boschi il Senato diventerà organo rappresentativo delle autonomie
territoriali. Ma quale autonomia? Sarà l’esatto contrario. Il suddetto organo non
avrà nessuna competenza in materia di bilancio dello Stato; pertanto, alle autonomie
sarà negato il diritto di intervenire e decidere in materia di perequazione
delle risorse, di solidarietà economica e di coesione sociale, nonché di
sviluppo sussidiario dei territori. Il Bundesrat tedesco ha specifiche
competenze finanziarie vincolanti relativamente agli interessi dei Länder. L’alternativa
al regionalismo centralista, che specialmente in alcune Regioni ha dato pessima
prova di sé, in particolare nella sanità e nei servizi alla persona, non sta
nel centralismo statalista, imperniato sulla burocrazia ministeriale, bensì
nella costituzionalizzazione di una reale Camera Alta delle Autonomie
(Bundesrat). A valle di essa, ripensare le Regioni come Enti territoriali di
indirizzo e programmazione su scala macro ed interregionale, sottraendo alla titolarità
regionale le attività burocratico-gestionali. Così, si avvia sul serio la
riduzione dei costi della politica, ovvero dell’apparato prodotto dalla
politica stessa, andando veramente oltre la pura propaganda. Questa è la vera
Riforma tradita. Ultimo punto della questione. Si afferma che questa riforma
non tocchi la Parte Prima della Costituzione: i Principi fondamentali. (Simoncini:
“Questa parte – la Prima – non è in
discussione”). In realtà, vengono stravolti gli articoli fondamentali, sia mortificando
le formazioni intermedie, le quali vivono nei territori, servendo le primarie realtà
sociali nelle comunità locali, sia riducendo il valore culturale e giuridico
delle autonomie, che i padri costituenti riconobbero e valorizzarono. “La
Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come
singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e
richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale” (Art. 2); “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e
promuove le autonomie locali, attua nei servizi che dipendono dallo Stato il
più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua
legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento” (Art. 5).
Repetita iuvant! Vada come vada, a noi interessa la vita vera; quella che, in
una storia vivente, ora, accende e riaccende, per grazia, l’umano desiderio; e contribuire,
con passione e sacrificio, a generare, in un certo qual modo, “nuove forme di vita
e di lavoro per l’uomo”, “nell’esistente personale e nell’esistente storico”, partecipando,
tentativamente, consapevoli dei personali tradimenti, alla santità sociale del
carisma che abbiamo incontrato.
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