La
professoressa Lorenza Violini su “Il Sussidiario”, a proposito del referendum
costituzionale, ha posto una questione di
fondo che, nel corso del dibattito e della campagna referendaria, non è stata sufficientemente
valutata. E’ la questione del “welfare state”. Scrive: “Creando una sorta di
parificazione tra i due livelli di governo (statale e regionale, n.d.r.) (la
riforma Renzi Boschi) stabilisce infatti che allo Stato spetti in esclusiva
legiferare sulle disposizioni generali e comuni e alle Regioni fare la stessa
operazione rispetto alla programmazione e l’organizzazione dei servizi”. In
realtà, su questa materia la riforma bocciata faceva un’operazione
gattopardesca: “cambiare per lasciare tutto tale e quale”. I sostenitori del sì
richiamavano la necessità di riportare allo Stato le politiche sociali (i
servizi alla persona), constatando lo sfascio di tali politiche e servizi in
alcune Regioni, in particolare al sud. Togliamo il velo dall’equivoco. Lo Stato,
già prima della riforma bocciata, per la materia sopra richiamata, aveva competenza
esclusiva rispetto alla determinazione dei “servizi essenziali”: tali per legge;
dunque, non facoltativi e, pertanto, da regolare e garantire obbligatoriamente,
senza eccezione alcuna, in tutto il Paese. Quindi, in questo caso, non si
doveva riportare allo Stato alcunché. Infatti, l’art. 117 della Costituzione, richiamando
i fini di interesse generale, specifica le materie di potestà statale: “Lo
Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: ….. comma m: determinazione
dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale”.
Ad
oggi, nessun governo ha provveduto a ciò, sconfessando il dettato
costituzionale vigente. E’ questa mancata determinazione normativa (ribadiamo:
di competenza esclusiva dello Stato) il vulnus grave che ha alimentato
disparità e dualismi nel Paese, lasciando al legislatore regionale, secondo una
parziale e discutibile geometria variabile, in assenza del quadro normativo
generale di riferimento, l’attuazione degli interventi non derogabili.
Pertanto, i servizi all’ l’infanzia ed all’adolescenza; l’assistenza
socio-educativa scolastica per gli alunni con disabilità; l’educativa familiare
per arginare le piaghe dell’istituzionalizzazione dei minori e della
dispersione scolastica; i percorsi di integrazione e valorizzazione lavorativa
delle persone con abilità diverse; le azioni a favore delle persone anziane, al
fine di arginare la cultura dello scarto; i piani di contrasto alle povertà non
hanno trovato fondamento solido di attuazione organica. Si ponga fine al vulnus,
per vigente dettato costituzionale, avviando la vera riforma dei servizi alla
persona, per determinare le condizioni di crescita dell’economia del dono che,
pur in questo momento di crisi drammatica, crea lavoro nuovo. Nell’epoca del
tramonto del welfare state, si tratta di costruire il welfare delle comunità
locali, delineando percorsi di ri-costituzione delle stesse comunità,
riconnettendo le reti di prossimità tra le persone e con le istituzioni, secondo
il principio di valorizzazione dei corpi intermedi, per andare incontro alle
fragilità delle famiglie nella condivisione delle esigenze e dei bisogni. Dal
welfare state alla welfare community: un passaggio da fondare e strutturare
filosoficamente, declinando nel vivo dell’esperienza delle persone le ragioni
del lavoro sociale di cura (integrazione e valorizzazione), che è cura
dell’Essere nella persona e nella comunità. Questo lavoro in atto costituisce,
altresì, il laboratorio di un crescente movimento socio-istituzionale sui
generis: reti capillari e trasversali tra persone, gruppi ed istituzioni
territoriali, condividendo esperienze e progetti, promuovendo l’economia del
dono e nuovi mercati al servizio della famiglia. E’
questa economia che, pur nell’attuale momento di crisi drammatica, crea e
moltiplica le opportunità di lavoro. E’ la nuova frontiera di ripresa dell’impegno
nello spazio pubblico. Auguri per il Santo Natale!
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