lunedì 23 gennaio 2017

I cattolici nel terzo tempo della Repubblica

Palazzo della Consulta














Molteplici i motivi di bocciatura della riforma costituzionale Renzi-Boschi, ma una duplice ragione li attraversa tutti: a) la percezione, a pelle, di un contenuto della riforma, nonché la sua stessa modalità di realizzazione, in contraddizione con il senso comune democratico; b) il disagio dei giovani sul fronte del lavoro si è rovesciato sui quesiti referendari. Perciò, l’esito del referendum deve far molto riflettere sul percorso del nostro Paese. L’occasione è altresì propizia, dopo l’analisi di Ernesto Galli Della Loggia, per riflettere sul ruolo pubblico dei cattolici sotto il profilo politico. Il professore editorialista del “Corsera” aveva scritto “sull’eclissi dei partiti cristiano-cattolici”, ripercorrendone, dal suo punto di vista, l’origine della crisi. Al di là delle analisi socio-politiche e culturali, nel perimetro novecentesco, è venuto il momento (provvidenziale) di cambiare paradigma, per andare al cuore della questione ed interrogarsi sull’Origine di una presenza che incida, in un certo qual modo, nella vita delle società, generando, quasi per distrazione, come conseguenza non ricercata, una civiltà nell’esistente storico. Da Padre Romano Scalfi, colui che ha introdotto noi tutti nella grande tradizione intellettuale, artistica e religiosa del popolo russo, abbiamo imparato la lezione dei padri greci: “praxis anabasis theorias”. La prassi eleva la teoria. E’ la vita vera, nell’appartenenza ad una realtà comunionale, che trasfigura l’esistente personale e l’esistente storico, rendendo partecipi del significato della realtà, pur nelle ombre del tempo presente e nella caducità delle strutture socio-economiche. Da qui un di più di gusto e di passione per le “cose” e, quindi, un protagonista nuovo nella storia: un soggetto impegnato, con personale responsabilità, in tentativi contingenti di costruzione, partecipando alla vita del popolo sin nel discernimento del particolare politico. Sotto questo profilo, come contributo al giudizio nell’attuale momento, appare utile una doppia declinazione pratico-operativa, alla luce del principio metodologico indicato da Papa Francesco: “Il tempo è superiore allo spazio”. Il compito che si ha innanzi non è l’occupazione di spazi, bensì promuovere processi. Declinazione prima: ricostruire il processo democratico nel nostro Paese. La storia dei cattolici impegnati in politica, pur tra forti tensioni e contraddizioni, si è sempre distinta per il contributo alla democrazia. Ora, si tratta di riprendere il percorso che il ventennio del “bipolarismo manicheo” ha di fatto bloccato. L’ideologia del maggioritarismo assoluto, in voga nella seconda repubblica, in funzione di blocchi contrapposti da guerra fredda, ha lacerato il tessuto civile e democratico, con l’ingrediente di un personale politico squalificato, senza legami con l’elettore. Bisogna riprendere il lavoro, alimentando un flusso di sensibilità democratica, nella forma di una movimentazione trasversale, oltre ogni linea divisoria, per salvaguardare e potenziare i “fondamentali” dell’architettura democratica dello Stato, ai fini di una sempre più compiuta sovranità popolare: lo sviluppo delle autonomie locali e sociali, l’articolazione di un ragionevole pluralismo politico-istituzionale. Questa movimentazione costituisce l’opera politica preminente nel terzo tempo della Repubblica. In tale contesto, va rinnovata la battaglia strurziana per la centralità della legge elettorale nel rispetto della volontà del popolo. Consulta docet. Declinazione seconda (urgenza prima del bene comune): creazione lavoro. Su questo tema è inutile e dannoso alzare barricate. Drammatiche le parole di Papa Francesco in occasione del Te Deum di fine anno: “Abbiamo emarginato i giovani dalla vita pubblica, costringendoli a mendicare occupazioni che non esistono”. E ancora: “Aiutiamo i giovani a diventare padri e madri del popolo”, creando lavoro. Il lavoro rende possibile la famiglia ed in essa diventa “scuola di umanità”, secondo l’espressione di Giovanni Paolo II. Per creare lavoro non bastano ricette e risposte a priori. Occorre la comune responsabilità, imparando a cooperare per il bene comune: mettere in rete persone, gruppi ed istituzioni. Occorre innescare processi di “sinodalità civile”, di solidarietà produttiva, di cultura dell’intrapresa, con particolare attenzione alla primazia dell’economia del dono, come declinata da Benedetto XVI nella Caritas in veritate. Al lavoro è legata la dimensione profonda della libertà di educazione: libertà, ossia il percorso-lavoro per Essere se stessi, trasmettendo ai giovani e rinnovando in ciascuno il “mestiere di vivere”, ossia l’arte dell’incontro con la realtà, il gusto di rischiare, imparando il lavoro su di sè, valorizzando, da subito, esperienze, opportunità, progetti; condividendo, da subito, i bisogni, soprattutto il bisogno di realizzare mediante il lavoro la propria umanità. “Il lavoro è un dialogo con se stessi”, disse il Papa  incontrando i giovani in Molise. Entro questo orizzonte, le ragioni “eticamente sensibili” assumono, nello spazio pubblico pluralistico, una giustificazione razionale più evidente e persuasiva. Buon lavoro! 

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