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| Il filosofo ed economista salernitano Antonio Genovesi, prima cattedra di economia civile in Europa. |
Il 26 marzo scorso è stato ricordato il cinquantesimo anniversario di pubblicazione dell’enciclica Populorum progressio di Paolo VI. Il testo fece molto scalpore per i forti contenuti sociali, riflettendo sullo spaccato nord-sud che condannava e condanna interi popoli alla fame ed alla schiavitù. Pur rifiutando e condannando l’insurrezione rivoluzionaria quale mezzo per la risoluzione dei problemi, il Pontefice riconosceva la possibilità di ricorrere ad essa, nel caso di “una tirannia prolungata ed evidente che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese…”. Basti questo accenno per immaginare lo “scandalo” e lo scalpore suscitato dal “Papa rosso”. Al di là delle polemiche allora sollevate, Paolo VI interpretava la “nuova questione sociale” secondo una specifica idea di sviluppo, alla luce dell’umanesimo integrale pensato da Jacques Maritain: “Essere di più”. “Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Com’è stato giustamente sottolineato da un eminente esperto: “noi non accettiamo di separare l’economico dall’umano”. “Lo sviluppo è il nome nuovo della pace”.
Papa
Benedetto XVI nella Caritas in veritate riprende i contenuti della Populorum
progressio, proseguendone l’approfondimento, sul piano teologico, filosofico e
sociale, nel contesto dell’attuale momento storico. Snodo fondamentale del documento
di Benedetto è l’economia del dono e della gratuità, ovvero l’economia civile
di genovesiana memoria, il cui pensiero, secondo l’osservazione degli
economisti Zamagni e Bruni, valorizzatori dell’opera di Antonio
Genovesi, pur autenticamente vissuto nelle esperienze di solidarietà del mondo
della cooperazione, non è stato criticamente proseguito con sistematicità
teorica, subendo, quindi, una ingiusta marginalizzazione. La Caritas in veritate
di Benedetto XVI ha colmato questo “vuoto”, ponendosi, in un certo senso, come
il nuovo manifesto umanista dell’economia civile. “Occorre che nel mercato si aprano
spazi per attività economiche realizzate da soggetti che liberamente scelgono
di informare il proprio agire a principi diversi da quelli del puro profitto,
senza per ciò stesso rinunciare a produrre valore economico. … Nell’epoca della
globalizzazione, l’attività economica non può prescindere dalla gratuità, che
dissemina e alimenta la solidarietà e la responsabilità per la giustizia e il
bene comune nei suoi vari soggetti e attori. Si tratta, in definitiva, di una
forma concreta e profonda di democrazia economica”. (Caritas in veritate, par.
38). L’economia civile ci conduce al cuore stesso della democrazia nella sua
capacità di creare legami, di associare, di unire, accrescendo e moltiplicando
i talenti di laboriosità e di lavoro, per il bene comune, per la “felicità
pubblica”. Non si tratta di un ideale astratto, bensì di un processo storico in
atto, secondo forme creative di reciprocità sociale, non ai margini del
mercato, ma quale dimensione costitutiva della ragione economica aperta. “Nel
contesto di questo discorso è utile osservare che l’imprenditorialità ha e deve
sempre più assumere un significato plurivalente. La perdurante prevalenza del
binomio mercato-Stato ci ha abituati a pensare esclusivamente all’imprenditore
privato di tipo capitalistico da un lato e al dirigente statale dall’altro. In
realtà, l’imprenditorialità va intesa in modo articolato. Ciò risulta da una
serie di motivazioni meta economiche. L’imprenditorialità,
prima di avere un significato professionale, ne ha uno umano. Essa è
inscritta in ogni lavoro, visto come actus personae”. (Caritas in veritate,
par. 41). Da qui la democrazia economica o dell’intrapresa a partire da una
rinnovata riflessione sulla democrazia in quanto tale: “Il cristiano è
particolarmente disposto e sensibile a questo valore: proprio perché egli è
educato ad affermare come unica legge dell’esistenza la carità, per cui ideale
di ogni azione è la comunione con l’altro e l’affermazione della sua realtà
perché è”. (Luigi Giussani, Democrazia, in Il cammino al vero è un’esperienza).
Il compito storico pubblico è quello di alimentare tale processo democratico,
cogliendo e valorizzando nel soggetto le ragioni che muovono l’io all’opera;
ragioni emergenti, come insegnava il Genovesi, dal “fondo del cuore”. La
capacità di costruire legami, di moltiplicare il valore economico del legame,
di scambiare valore, ossia condividere i beni relazionali comuni è la “ricchezza
delle Nazioni”. La Populorum progessio spostava il baricentro, mettendo al
centro i sud del mondo e quindi allargando il punto di osservazione e di
azione. Cambiamento di prospettiva, come ci testimonia Papa Francesco. Perciò,
val la pena percorrere la “frontiera meridiana”, per cogliere meglio tutti i
fattori della realtà nel mondo interdipendente e globalizzato, dando un
contributo di operosità e di pensiero all’interpretazione della storia
contemporanea e partecipare da protagonisti, nell’esperienza di appartenenza ad
un popolo, all’opera di diffusione della felicità pubblica.

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