
A Cagliari nello
scorso ottobre si è tenuta la 48ma Settimana Sociale dei cattolici italiani: appuntamento
storico con inizio nel 1907, ad opera di Giuseppe Toniolo, per declinare
l’impegno pubblico dei cristiani nel nostro Paese. Le “settimane” hanno
costituito tappe rilevanti di elaborazione del pensiero sociale cattolico,
accompagnando una ricca, complessa vicenda storica, con momenti di slancio e fasi
di oblio della soggettività civile della fede. Momento glorioso fu certamente quello
che anticipò i lavori della Costituente, con la partecipazione dei protagonisti
della ricostruzione materiale e morale del Paese, evidenziando grande capacità
di elaborazione politico-costituzionale. La recente settimana sociale ha posto
a tema “Il lavoro che vogliamo”, ovvero “libero, creativo, partecipativo e
solidale”, secondo l’affermazione di Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium. La
Dottrina Sociale della Chiesa ha accompagnato, sostenuto ed illuminato la lunga
lotta degli uomini e delle donne del lavoro, per difendere e promuovere la loro
dignità nei processi sociali ed economici. Giovanni Paolo II ha dato un
contributo decisivo, anche dal punto di vista filosofico, alla difesa della
soggettività nel lavoro, a partire dalla sua personale esperienza, (“Nelle cave Solvay ho imparato nuovamente il
Vangelo”), sviluppando la riflessione sul disvelarsi della persona nell’atto,
per ricomprendere il senso del lavoro nella coscienza personale e nella
partecipazione alla comunità. Così, la Caritas in Veritate di Benedetto XVI,
arricchendo le evidenze e le ragioni dell’economia del dono, sia sul piano
della teologia sociale, sia dal punto di vista di una più incisiva prassi
storica. In Papa Francesco scorgiamo un’appassionata poetica del lavoro: “Voi siete
poeti sociali”, ha detto ai Movimenti Popolari, sottolineando il valore fondativo
della loro fatica quotidiana. Alla radice di ogni opera, anche e soprattutto in
quella più umile e faticosa, c’è uno slancio di corrispondenza amorosa. Poiesis
e praxis; la praxis è poiesis (creazione), fondamento della democrazia
partecipativa. “Secondo la tradizione cristiana il lavoro non è un mero fare:
è, soprattutto, una missione.” (Papa Francesco ai partecipanti al simposio
“Dalla Populorum Progressio alla Laudato Si’). Ora, nel contesto della “globalizzazione
dell’indifferenza”, che abolisce il lavoro, prima ancora che sfruttarlo, come
far riemergere il senso di una missione da compiere, moltiplicando, con tale
senso, la forza nel e del soggetto, per sviluppare la personale capacità di creazione
e di costruzione? Nella ricerca di soluzioni, coinvolgendo tutti gli uomini di
buona volontà e, perciò, valorizzando le sane trasversalità, il focus da cui
sempre ripartire è il “motore umano” dell’intrapresa. Per “accenderlo”, ci
diceva Don Giussani, c’è bisogno di un “avvenimento di vita”: una “spinta” che attivi
la forza motrice della persona, ossia il “senso religioso in azione”: quella
forza incoercibile, mossa da un’attrattiva, che trascina con sé il bello, il
giusto, il vero, muovendo l’io all’impegno di una costruzione perenne. Un
avvenimento di vita, cioè “una realtà
nuova e presente, in cui vive il desiderio illuminato e il cuore dell’umano.”
“Una presenza di vita”, nelle forme creative
di condivisione del bisogno e dei bisogni, grazie alla quale la persona si protende
positivamente verso la realtà percepita e riconosciuta come bene, pur nella
contraddittorietà; mettendosi all’opera per questo richiamo attrattivo. Questa
è la vita che la comunità cristiana ha la responsabilità di offrire al mondo, comunicando
l’Ideale per cui vale la pena lavorare, intraprendere e costruire. Nell’alveo
di questa vita nasce un pensiero sociale come sguardo nuovo su tutte le cose, come
“pungolo” all’intrapresa, in qualunque condizione, in qualsiasi emergenza
personale e storica. Da qui la spinta fondamentale per attivare e promuovere i
processi storici nella res publica.
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