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| "Ogni uomo è una vetta" (Karol Wojtyla, Poesie) |
“La (ex)
meglio gioventù dell’Università Cattolica”. E’ il titolo dell’articolo di
Alberto Melloni su Repubblica del 4 gennaio, nel quale si accusa Giovanni Paolo
II di aver dato inizio alla “sterilità della Cattolica che dura da un terzo di
secolo”, non offrendo più al Paese “figure di riserva”. Non ci interessa
affatto “controbattere”, ma l’occasione appare propizia per riprendere uno
degli assunti più cari a Giovanni Paolo II: “Una fede che non diventa cultura
non è una fede pienamente accolta, interamente pensata, fedelmente vissuta”.
(Giovanni Paolo II al Meic, 1982). A questo orientamento di fondo del Magistero
fece riferimento don Giussani nell’intervento all’assemblea della D.C. lombarda
ad Assago nel 1987: “La politica, in quanto forma più compiuta di cultura, non
può che trattenere come preoccupazione fondamentale l’uomo. Nel suo discorso
all’Unesco (2 giugno 1980), Giovanni Paolo II ha detto: “La cultura si situa
sempre in relazione essenziale e necessaria a ciò che l’uomo è”…. . ” Karol
Wojtyla aveva a lungo riflettuto sulle fondamentali dimensioni della cultura e
della prassi nell’esperienza umana. Proprio all’Università Cattolica di Milano,
nel 1977, dopo poco sarebbe stato eletto Papa, tenne una importante conferenza
sul “costituirsi della cultura attraverso la praxis umana”: la persona, nella
storia, coltiva il proprio umano (cultura), la propria soggettività, attraverso
la prassi, mediante il lavoro, diventando, attraverso il lavoro, più se stesso,
più uomo. Il prof. Buttiglione ha messo in evidenza (“Il pensiero di Karol
Wojtyla”) l’originale contributo del
pensiero wojtyliano alla filosofia
contemporanea, elaborando una specifica filosofia della prassi. Noi
aggiungiamo: aver posto il problema della prassi è il grande contributo
metodologico-teorico che Giovanni Paolo II ha dato alla Dottrina Sociale della
Chiesa, rinsaldando theoria e praxis. E’ la questione del metodo, per una
presenza originale e comprensiva nel mondo, superando il dualismo tra fede e
storia: da una parte, l’affermazione teorica dei principi; dall’altra, la
complessa attuazione storica. Prima dell’affermazione dei principi da applicare
alla realtà (metodo deduttivo); prima dell’analisi della realtà da interpretare
(metodo induttivo), c’è un “primerea”, “qualcosa che viene prima”. E’ il “metodo dell’avvenimento”: l’incontro
con Cristo, che svela l’uomo all’uomo. Questo avvenimento, nella fattispecie
sociale della comunità cristiana, è il “luogo”, l’ambito per leggere,
condividere ed illuminare l’esperienza della persona nel cammino personale e
storico. In questa luce, si è sviluppata la meditazione dello Studioso prima e
del Papa poi sulle dimensioni fondamentali dell’amore e del lavoro, (“Persona e
atto”; “Amore e responsabilità”, l’opera poetica …; la “Redemptor Hominis”, la “Laborem
Exercens”, la teologia del corpo umano …), per la “ricostruzione” critica
dell’esperienza umana nel suo centro affettivo (amore) e nel suo rapporto con
la realtà (lavoro). In tale ricostruzione, alla luce di un avvenimento di vita,
sta la consonanza tra Giovanni Paolo II e don Giussani, percorrendo la via
dell’uomo, attraversando la frontiera dell’umano: itinerario intellettuale ed
educativo attraverso cui diventa esperienza l’autocoscienza della persona, diventando
sempre più consapevole delle sue risorse, nonché dei suoi limiti, e della
risorsa del suo stesso Essere, fonte inesauribile della sua attitudine
costruttiva. Il lavoro diventa intrapresa. Da qui “una nuova e approfondita riflessione sul senso dell’economia e dei suoi
fini”, che Papa Benedetto ha approfondito
nella “Caritas in Veritate”, sviluppando il Magistero precedente, accompagnando,
altresì, l’opera di elaborazione nell’esperienza di una filosofia dell’intrapresa e dell’economia civile, onde seguire, sostenere e promuovere le presenze, i
processi e le ragioni dell’economia civile del dono in atto nei territori e
nelle comunità. Contributo prezioso alla res publica nel tempo dell’eclissi del
cattolicesimo politico e della liquefazione delle forme politico-partitiche
popolari. Dunque, non appena “figure di riserva”, ma l’esperienza di uomini e
donne, negli ambienti di vita e di lavoro, che rendono nuovamente attraente dimensione
culturale della fede, ossia la sua pertinenza all’affronto più umano delle
condizioni personali e sociali, incrementando, secondo l’insegnamento di Papa
Francesco, i processi di popolo della
democrazia partecipativa, anche e soprattutto quando la politica si
corrompe nell’autoreferenzialità, allontanandosi dal comune sentire del popolo.
Al di fuori di un pensiero nascente dalla vita, da una vita più vera, c’è il
gioco dialettico del partito clericale, che vive di opposizione, divisione ed
analisi preconcette; gioco inconsistente, sul piano dello studio e
dell’approfondimento storico-culturale; inutile, sul piano del vero interesse
umano.

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