Nel corso
dell’incontro con i giornalisti di “Avvenire”, in occasione del primo maggio,
festa del lavoro, Papa Francesco fa fatto un nuovo cenno-affondo sulla
questione delle questioni: il lavoro. Riferendosi a san Giuseppe, il Papa ha
affermato che Egli è “l’educatore che – senza nulla pretendere per sé – diventa
padre grazie al suo esserci, alla sua capacità di accompagnare, di far crescere
la vita e trasmettere un lavoro. Sappiamo quanto quest’ultima dimensione, a cui
è legata la festa di oggi, sia importante. Proprio al lavoro, infatti, è
strettamente legata la dignità della persona: non al denaro, né alla visibilità
o al potere, ma al lavoro. Un lavoro che dia modo a ciascuno, qualunque sua il
ruolo, di generare quella imprenditorialità intesa come actus personae (cfr
Enc. Caritas in Veritate, 41), dove la persona e la sua famiglia restano più
importanti dell’efficienza fine a se stessa”. Generare imprenditorialità. Importantissimo
il verbo indicante ciò che è assolutamente, inviolabilmente umano. Francesco
riprende l’insegnamento profondo della Caritas in Veritate di Papa Benedetto:
l’actus personae è direttamente proporzionale allo Significato totale della
vita della persona, pienamente corrispondente al suo Essere. E’ l’espressione
della “ragione affettivamente impegnata”.
(Julian Carrón, Esercizi Spirituali Fraternità di C.L., Rimini 27-29 aprile
2018). Da qui la linfa creatrice dell’io; la sua disponibilità al rischio, al
sacrificio, all’apertura a tutte le circostanze, rendendo vero, secondo la
personale dignità, ogni tentativo di costruzione. L’atto della persona cambia
qualcosa della realtà esterna, ma soprattutto cambia se stessi, rendendo l’uomo
più cosciente della sua stessa umanità, diventando più uomo, più consapevole
dei suoi limiti e dei suoi valori. L’atto della persona, pur nella sua
finitezza, esprime un valore infinito. La descrizione critico-fenomenologica
dell’azione, ovvero il rivelarsi della persona in azione, la sorprendiamo nelle
parole di don Giussani: “Non esiste opera, da quella umile della casalinga a
quella geniale del progettista, che possa sottrarsi a questo riferimento, alla
ricerca di una soddisfazione piena, di un compimento umano: sete di felicità
che parte dall’istintività e si dilata a quella concretezza dignitosa che sola
salva l’istinto dal corrompersi in falso ed effimero respiro. E’ questo cuore
che mobilita chiunque, qualunque impresa realizzi. Tutta la vita è costretta da
questa logica: non esiste nessun’altra sorgente di energia che costringa e
abiliti più questa a curare, nei suoi aspetti anche più minuti, il lavoro in
cui ci si impegna”. (Luigi Giussani, “L’io, il potere, le opere”; pag. 91). Il
cuore mosso, commosso da una “presenza attrattiva che muove affettivamente la
libertà della persona all’impegno con il reale”. (Julian Carrón, Rimini, aprile
2018). Trasmettere il lavoro è rendere partecipe di una ricchezza umana con cui
impegnarsi a vivere ogni circostanza ed ogni opportunità. “E’ uno sguardo che
accompagna processi, trasforma i problemi in opportunità, migliora e costruire
la città dell’uomo. Vi auguro di saper affinare e difendere sempre questo
sguardo”. (Papa Francesco, incontro con “Avvenire”, 1 maggio 2018). Educare ad uno sguardo così è la
responsabilità suprema di ogni generazione, in ogni frangente della storia di
una comunità: in ciò l’espressione di maturità di un popolo e, quindi, il protagonismo
politico-culturale, in senso ampio, di un soggetto impegnato nella costruzione
della casa comune.

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