giovedì 3 maggio 2018

Generare imprenditorialità


Nel corso dell’incontro con i giornalisti di “Avvenire”, in occasione del primo maggio, festa del lavoro, Papa Francesco fa fatto un nuovo cenno-affondo sulla questione delle questioni: il lavoro. Riferendosi a san Giuseppe, il Papa ha affermato che Egli è “l’educatore che – senza nulla pretendere per sé – diventa padre grazie al suo esserci, alla sua capacità di accompagnare, di far crescere la vita e trasmettere un lavoro. Sappiamo quanto quest’ultima dimensione, a cui è legata la festa di oggi, sia importante. Proprio al lavoro, infatti, è strettamente legata la dignità della persona: non al denaro, né alla visibilità o al potere, ma al lavoro. Un lavoro che dia modo a ciascuno, qualunque sua il ruolo, di generare quella imprenditorialità intesa come actus personae (cfr Enc. Caritas in Veritate, 41), dove la persona e la sua famiglia restano più importanti dell’efficienza fine a se stessa”. Generare imprenditorialità. Importantissimo il verbo indicante ciò che è assolutamente, inviolabilmente umano. Francesco riprende l’insegnamento profondo della Caritas in Veritate di Papa Benedetto: l’actus personae è direttamente proporzionale allo Significato totale della vita della persona, pienamente corrispondente al suo Essere. E’ l’espressione della “ragione affettivamente impegnata”. (Julian Carrón, Esercizi Spirituali Fraternità di C.L., Rimini 27-29 aprile 2018). Da qui la linfa creatrice dell’io; la sua disponibilità al rischio, al sacrificio, all’apertura a tutte le circostanze, rendendo vero, secondo la personale dignità, ogni tentativo di costruzione. L’atto della persona cambia qualcosa della realtà esterna, ma soprattutto cambia se stessi, rendendo l’uomo più cosciente della sua stessa umanità, diventando più uomo, più consapevole dei suoi limiti e dei suoi valori. L’atto della persona, pur nella sua finitezza, esprime un valore infinito. La descrizione critico-fenomenologica dell’azione, ovvero il rivelarsi della persona in azione, la sorprendiamo nelle parole di don Giussani: “Non esiste opera, da quella umile della casalinga a quella geniale del progettista, che possa sottrarsi a questo riferimento, alla ricerca di una soddisfazione piena, di un compimento umano: sete di felicità che parte dall’istintività e si dilata a quella concretezza dignitosa che sola salva l’istinto dal corrompersi in falso ed effimero respiro. E’ questo cuore che mobilita chiunque, qualunque impresa realizzi. Tutta la vita è costretta da questa logica: non esiste nessun’altra sorgente di energia che costringa e abiliti più questa a curare, nei suoi aspetti anche più minuti, il lavoro in cui ci si impegna”. (Luigi Giussani, “L’io, il potere, le opere”; pag. 91). Il cuore mosso, commosso da una “presenza attrattiva che muove affettivamente la libertà della persona all’impegno con il reale”. (Julian Carrón, Rimini, aprile 2018). Trasmettere il lavoro è rendere partecipe di una ricchezza umana con cui impegnarsi a vivere ogni circostanza ed ogni opportunità. “E’ uno sguardo che accompagna processi, trasforma i problemi in opportunità, migliora e costruire la città dell’uomo. Vi auguro di saper affinare e difendere sempre questo sguardo”. (Papa Francesco, incontro con “Avvenire”, 1 maggio 2018).  Educare ad uno sguardo così è la responsabilità suprema di ogni generazione, in ogni frangente della storia di una comunità: in ciò l’espressione di maturità di un popolo e, quindi, il protagonismo politico-culturale, in senso ampio, di un soggetto impegnato nella costruzione della casa comune.   

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