Dopo aver evidenziato, nella prima parte di questo saggio sulla
Caritas in veritate, la valorizzazione dei soggetti protagonisti di
economia del dono, ricostruendone lo “spessore ontologico”, ci
soffermiamo nel prosieguo della riflessione sulla questione della
tecnica. Nell’enciclica è tema fondamentale, alla luce del
percorso di rivalutazione del significato dell’agire dal punto di
vista economico, nonché in considerazione delle potenzialità di
sviluppo e delle derive tecnocratiche legate al progresso
tecnologico. Il punto di vista che scegliamo nella presente
trattazione è la “discoverta” dell’umano, del senso autentico
del fare, cioè corrispondente alla natura dell’io, onde
contribuire a generare un soggetto impegnato lealmente nella realtà
e, quindi, suscitatore e creatore di sempre nuove possibilità ed
opportunità di lavoro. E’ la sfida che appartiene soprattutto ai
giovani nella costruzione di una fase inedita della storia del lavoro
e della civiltà, esplorando le frontiere della robotica,
dell’intelligenza artificiale, delle biotecnologie: frontiere che
attraversano trasversalmente tutti i campi del vivere, dalla medicina
alle neuroscienze, dalla politica alla democrazia, dall’economia al
lavoro, sino a determinare non solo le modalità di conoscenza della
realtà, ma anche e soprattutto le facoltà di sentire, percepire e
concepire se stessi. La tecnica non si configura semplicemente come
l’insieme di strumenti con cui l’uomo domina la natura,
accrescendo le possibilità umane. E’ la scoperta dell’energia
della natura (tema caro ad Heidegger) e del suo utilizzo. Più
specificamente e profondamente è la scoperta dell’energia umana
applicata alla realtà: il fenomeno umano del potere, come
evidenziato da Romano Guardini, Autore particolarmente caro a Papa
Benedetto, e come ripreso da don Giussani nell’intervento al
Congresso della DC lombarda ad Assago nel 1987. “Il problema dello
sviluppo oggi è strettamente congiunto con il progresso tecnologico,
con le sue strabilianti applicazioni in campo biologico”. (C. in
v., par. 69). Mediante la tecnica, l’uomo conferma e rafforza la
sua umanità, rendendo più vero se stesso e più umana la fatica
attraverso cui trasfigura la realtà. E’ l’opera della sua
genialità, cioè “un fatto profondamente umano, legato
all’autonomia e alla libertà dell’uomo”: espressione
dell’agire umano oggettivo (Giovanni Paolo II, Laborem exercens),
la cui origine e ragion d’essere sta nell’elemento soggettivo,
ossia l’uomo che opera, esprimendo la sua vocazione nel ed
attraverso il lavoro. (C. in v., par. 69). “Per questo la
tecnica non è solo mai tecnica. Essa manifesta l’uomo e le sue
aspirazioni allo sviluppo, esprime la tensione dell’animo umano al
graduale superamento di certi condizionamenti materiali. (Caritas in
v., par. 69). “A partire dal fascino che la tecnica esercita
sull’essere umano, si deve recuperare il senso vero della libertà,
che non consiste nell’ebbrezza di una totale autonomia, ma nella
risposta all’appello dell’essere, a cominciare
dall’essere che siamo noi stessi”. (C. in v. , par. 70).
Nell’attuale momento storico, il dramma dell’umana libertà si
gioca nel riguadagnare il senso dell’essere nell’azione,
incrementando, nell’esperienza, il profilo umano della persona
mentre opera, superando, quindi, continuamente “l’ebbrezza
dell’autonomia”. “Lo sviluppo tecnologico può indurre l’idea
dell’autosufficienza della tecnica quando l’uomo,
interrogandosi solo sul come, non considera i tanti perché
dai quali è spinto ad agire. E’ per questo che la tecnica
assume un volto ambiguo. Nata dalla creatività umana quale strumento
della libertà della persona, essa può essere intesa come elemento
di libertà assoluta, quella libertà che vuole prescindere dai
limiti che le cose portano in sé. Il processo di globalizzazione
potrebbe sostituire le ideologie con la tecnica, divenuta essa stessa
un potere ideologico, esporrebbe l’umanità al rischio di trovarsi
rinchiusa dentro un apriori dal quale non potrebbe uscire per
incontrare l’essere e la verità. In tal caso, tutti conosceremmo,
valuteremmo e decideremmo le situazioni della nostra vita all’interno
di un orizzonte culturale tecnocratico a cui apparterremmo
strutturalmente, senza mai trovare un senso che non sia da noi
prodotto. (C. in v., par. 70). “Campo primario e cruciale della
lotta culturale tra l’assolutismo della tecnica e la responsabilità
morale dell’uomo è oggi quello della bioetica, in cui si gioca
radicalmente la possibilità stessa di uno sviluppo umano integrale”.
(C. in v., par. 74). “La mentalità tecnicistica (fa) coincidere il
vero con il fattibile. Ma quando l’unico criterio della verità è
l’efficienza e l’utilità, lo sviluppo viene automaticamente
negato. Infatti, il vero sviluppo non consiste primariamente nel
fare. Chiave dello sviluppo è un’intelligenza in grado di pensare
la tecnica e di cogliere il senso pienamente umano del fare
dell’uomo, nell’orizzonte di senso della persona presa nella
globalità del suo essere”. C. in v., par. 70). Cogliere questo
senso significa sostenere e favorire esperienze di creatività e di
solidarietà nel cuore dello sviluppo tecnologico, valorizzando e
promuovendo l’imprenditorialità come creazione di opportunità e
di condivisione dei talenti personali, con particolare attenzione
alla cura dell’ecologia umana. Intendiamo rivolgere l’attenzione
a questo aspetto soggettivo di originale imprenditorialità,
registrando le crescenti esperienze giovanili in atto: soggetti
d’intrapresa che evidenziano lo spessore civile del fenomeno
umano-economico nella società dell’informazione e delle tecnologie
avanzate. Appare evidente, ma non assolutamente scontato, che uno
Stato democratico, per salvaguardare la sua natura e la sua missione,
debba concentrare le sue politiche sussidiarie e solidali sui livelli
della formazione e dell’innovazione, incoraggiando, valorizzando,
promuovendo ciò che nasce dalla “costituzione civile” delle
società. E’ questa la “battaglia” politica centrale,
promuovendo costantemente processi di democrazia economica. In questo
orizzonte, va ripensata “l’alleanza tra l’essere umano e
l’ambiente” (C. in v., par. 50), tenendo presente che “uno dei
maggiori compiti dell’economia è proprio il più efficiente uso
delle risorse, non l’abuso”, a partire dal territorio. Nei
territori, infatti, prendono forma le piccole e medie imprese,
tessuto economico cardine del Paese; esperienze in cui più
facilmente l’imprenditoria assume il volto di comunità del lavoro
e dell’intrapresa, sperimentando i valori della corresponsabilità,
della familiarità e della solidarietà operosa. L’industria
culturale dei territori è una forma distintiva di imprenditorialità
e di economia civile, coniugando lavoro, salute, ben/essere, senso di
appartenenza e qualità della vita. L’alleanza tra l’essere umano
ed ambiente è la chiave di volta dell’ecologia umana ed è una
delle chiavi più importanti dello sviluppo: valore economico-sociale
e, prima ancora, antropologico. Si tratta di salvaguardare la natura,
salvaguardando la natura umana, difendendo la sua inviolabilità, la
sua irriducibilità: l’io, nella sua tensione creativa ed
associativa, è al centro dello sviluppo, è la forza dinamica dello
sviluppo integrale, secondo l’affronto autenticamente umano dei
suoi bisogni e dei suoi limiti. Nella parte conclusiva della presente
riflessione, è doveroso richiamare l’architrave del magistero di
Papa Benedetto, ossia il dialogo fede/ragione, “nella distinzione e
insieme nella sinergia dei due ambiti cognitivi (C. in v., par. 5).
Nella Caritas in veritate, ritroviamo una esplicitazione forte di
tale magistero: “il lógos crea diá-lógos”. “La verità,
facendo uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni
soggettive, consente loro di portarsi al di là delle determinazioni
culturali e storiche e di incontrasi nella valutazione del valore e
della sostanza delle cose”. (C. in v. par. 4). Nel rapporto lógos
/diá-lógos sta l’originale contributo politico dei cristiani
nell’agone pubblico. Contributo politico nel senso della costante
tensione alla costruzione del bene comune. “Senza verità, senza
fiducia e amore per il vero, non c’è coscienza e responsabilità
sociale, e l’agire sociale cade in balia di privati interessi e di
logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società, tanto più
in una società in via di globalizzazione, in momenti difficili come
quelli attuali.” (C. in v., parg 5). E’ il “processo di
argomentazione sensibile alla verità”, di cui Ratzinger parlò nel
dialogo con Habermas, che realisticamente fa da argine permanente
alla parzialità del potere di cui è intrisa la dialettica
partitico-politica. Per Papa Benedetto il Lógos è ragione
creatrice. Partecipe di questa ragione, in quanto rapporto con
l’Infinito, l’uomo instancabilmente, tra contraddizioni e limiti,
cadute e ricadute, sospinto dalla passione per il vero, crea, genera
civiltà, alimentando il bene comune. “Volere il bene comune è
esigenza di giustizia e di carità” (C. in v., par. 7). “Da una
parte, la giustizia: il riconoscimento ed il rispetto dei diritti
degli individui e dei popoli. Dall’altra, la carità supera la
giustizia e la completa nella logica del dono e del perdono”. (C.
in v., par. 7). Entro questa logica si inseriscono le copiose forme
di economia del dono presenti oggi nella società e nel mercato, come
abbiamo evidenziato nella precedente trattazione, sottolineandone il
valore economico-culturale. “La carità nella verità pone l’uomo
davanti alla stupefacente esperienza del dono”. (C. in v., par.
34). Questa stupefacente esperienza che si sorprende in sé, grazie
ad una sovrabbondante intensità di vita, di cui è espressione il
fatto storico di Cristo nella società, genera, per
sovrabbondanza, un indomabile lavoro per il bene comune, abbracciando
e valorizzando ogni tentativo autenticamente umano. “Impegnarsi per
il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi,
dall’altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano
giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere
sociale, che in tal modo prende forma di polis, di città. Si ama
tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per
un bene comune rispondente anche ai suoi bisogni. Ogni cristiano è
chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione e secondo le
sue possibilità di incidenza nella polis. E’ questa la via
istituzionale – possiamo anche dire politica – della carità, non
meno qualificata ed incisiva di quanto lo sia la carità che incontra
il prossimo direttamente, fuori delle mediazioni istituzionali della
polis. Quando la carità lo anima, l’impegno per il bene comune ha
una valenza superiore a quella dell’impegno soltanto secolare e
politico. Come ogni impegno per la giustizia, esso si inscrive in
quella testimonianza della carità divina che, operando nel tempo,
prepara l’eterno. (C. in v., par. 7).
Dopo aver evidenziato, nella prima parte di questo saggio sulla
Caritas in veritate, la valorizzazione dei soggetti protagonisti di
economia del dono, ricostruendone lo “spessore ontologico”, ci
soffermiamo nel prosieguo della riflessione sulla questione della
tecnica. Nell’enciclica è tema fondamentale, alla luce del
percorso di rivalutazione del significato dell’agire dal punto di
vista economico, nonché in considerazione delle potenzialità di
sviluppo e delle derive tecnocratiche legate al progresso
tecnologico. Il punto di vista che scegliamo nella presente
trattazione è la “discoverta” dell’umano, del senso autentico
del fare, cioè corrispondente alla natura dell’io, onde
contribuire a generare un soggetto impegnato lealmente nella realtà
e, quindi, suscitatore e creatore di sempre nuove possibilità ed
opportunità di lavoro. E’ la sfida che appartiene soprattutto ai
giovani nella costruzione di una fase inedita della storia del lavoro
e della civiltà, esplorando le frontiere della robotica,
dell’intelligenza artificiale, delle biotecnologie: frontiere che
attraversano trasversalmente tutti i campi del vivere, dalla medicina
alle neuroscienze, dalla politica alla democrazia, dall’economia al
lavoro, sino a determinare non solo le modalità di conoscenza della
realtà, ma anche e soprattutto le facoltà di sentire, percepire e
concepire se stessi. La tecnica non si configura semplicemente come
l’insieme di strumenti con cui l’uomo domina la natura,
accrescendo le possibilità umane. E’ la scoperta dell’energia
della natura (tema caro ad Heidegger) e del suo utilizzo. Più
specificamente e profondamente è la scoperta dell’energia umana
applicata alla realtà: il fenomeno umano del potere, come
evidenziato da Romano Guardini, Autore particolarmente caro a Papa
Benedetto, e come ripreso da don Giussani nell’intervento al
Congresso della DC lombarda ad Assago nel 1987. “Il problema dello
sviluppo oggi è strettamente congiunto con il progresso tecnologico,
con le sue strabilianti applicazioni in campo biologico”. (C. in
v., par. 69). Mediante la tecnica, l’uomo conferma e rafforza la
sua umanità, rendendo più vero se stesso e più umana la fatica
attraverso cui trasfigura la realtà. E’ l’opera della sua
genialità, cioè “un fatto profondamente umano, legato
all’autonomia e alla libertà dell’uomo”: espressione
dell’agire umano oggettivo (Giovanni Paolo II, Laborem exercens),
la cui origine e ragion d’essere sta nell’elemento soggettivo,
ossia l’uomo che opera, esprimendo la sua vocazione nel ed
attraverso il lavoro. (C. in v., par. 69). “Per questo la
tecnica non è solo mai tecnica. Essa manifesta l’uomo e le sue
aspirazioni allo sviluppo, esprime la tensione dell’animo umano al
graduale superamento di certi condizionamenti materiali. (Caritas in
v., par. 69). “A partire dal fascino che la tecnica esercita
sull’essere umano, si deve recuperare il senso vero della libertà,
che non consiste nell’ebbrezza di una totale autonomia, ma nella
risposta all’appello dell’essere, a cominciare
dall’essere che siamo noi stessi”. (C. in v. , par. 70).
Nell’attuale momento storico, il dramma dell’umana libertà si
gioca nel riguadagnare il senso dell’essere nell’azione,
incrementando, nell’esperienza, il profilo umano della persona
mentre opera, superando, quindi, continuamente “l’ebbrezza
dell’autonomia”. “Lo sviluppo tecnologico può indurre l’idea
dell’autosufficienza della tecnica quando l’uomo,
interrogandosi solo sul come, non considera i tanti perché
dai quali è spinto ad agire. E’ per questo che la tecnica
assume un volto ambiguo. Nata dalla creatività umana quale strumento
della libertà della persona, essa può essere intesa come elemento
di libertà assoluta, quella libertà che vuole prescindere dai
limiti che le cose portano in sé. Il processo di globalizzazione
potrebbe sostituire le ideologie con la tecnica, divenuta essa stessa
un potere ideologico, esporrebbe l’umanità al rischio di trovarsi
rinchiusa dentro un apriori dal quale non potrebbe uscire per
incontrare l’essere e la verità. In tal caso, tutti conosceremmo,
valuteremmo e decideremmo le situazioni della nostra vita all’interno
di un orizzonte culturale tecnocratico a cui apparterremmo
strutturalmente, senza mai trovare un senso che non sia da noi
prodotto. (C. in v., par. 70). “Campo primario e cruciale della
lotta culturale tra l’assolutismo della tecnica e la responsabilità
morale dell’uomo è oggi quello della bioetica, in cui si gioca
radicalmente la possibilità stessa di uno sviluppo umano integrale”.
(C. in v., par. 74). “La mentalità tecnicistica (fa) coincidere il
vero con il fattibile. Ma quando l’unico criterio della verità è
l’efficienza e l’utilità, lo sviluppo viene automaticamente
negato. Infatti, il vero sviluppo non consiste primariamente nel
fare. Chiave dello sviluppo è un’intelligenza in grado di pensare
la tecnica e di cogliere il senso pienamente umano del fare
dell’uomo, nell’orizzonte di senso della persona presa nella
globalità del suo essere”. C. in v., par. 70). Cogliere questo
senso significa sostenere e favorire esperienze di creatività e di
solidarietà nel cuore dello sviluppo tecnologico, valorizzando e
promuovendo l’imprenditorialità come creazione di opportunità e
di condivisione dei talenti personali, con particolare attenzione
alla cura dell’ecologia umana. Intendiamo rivolgere l’attenzione
a questo aspetto soggettivo di originale imprenditorialità,
registrando le crescenti esperienze giovanili in atto: soggetti
d’intrapresa che evidenziano lo spessore civile del fenomeno
umano-economico nella società dell’informazione e delle tecnologie
avanzate. Appare evidente, ma non assolutamente scontato, che uno
Stato democratico, per salvaguardare la sua natura e la sua missione,
debba concentrare le sue politiche sussidiarie e solidali sui livelli
della formazione e dell’innovazione, incoraggiando, valorizzando,
promuovendo ciò che nasce dalla “costituzione civile” delle
società. E’ questa la “battaglia” politica centrale,
promuovendo costantemente processi di democrazia economica. In questo
orizzonte, va ripensata “l’alleanza tra l’essere umano e
l’ambiente” (C. in v., par. 50), tenendo presente che “uno dei
maggiori compiti dell’economia è proprio il più efficiente uso
delle risorse, non l’abuso”, a partire dal territorio. Nei
territori, infatti, prendono forma le piccole e medie imprese,
tessuto economico cardine del Paese; esperienze in cui più
facilmente l’imprenditoria assume il volto di comunità del lavoro
e dell’intrapresa, sperimentando i valori della corresponsabilità,
della familiarità e della solidarietà operosa. L’industria
culturale dei territori è una forma distintiva di imprenditorialità
e di economia civile, coniugando lavoro, salute, ben/essere, senso di
appartenenza e qualità della vita. L’alleanza tra l’essere umano
ed ambiente è la chiave di volta dell’ecologia umana ed è una
delle chiavi più importanti dello sviluppo: valore economico-sociale
e, prima ancora, antropologico. Si tratta di salvaguardare la natura,
salvaguardando la natura umana, difendendo la sua inviolabilità, la
sua irriducibilità: l’io, nella sua tensione creativa ed
associativa, è al centro dello sviluppo, è la forza dinamica dello
sviluppo integrale, secondo l’affronto autenticamente umano dei
suoi bisogni e dei suoi limiti. Nella parte conclusiva della presente
riflessione, è doveroso richiamare l’architrave del magistero di
Papa Benedetto, ossia il dialogo fede/ragione, “nella distinzione e
insieme nella sinergia dei due ambiti cognitivi (C. in v., par. 5).
Nella Caritas in veritate, ritroviamo una esplicitazione forte di
tale magistero: “il lógos crea diá-lógos”. “La verità,
facendo uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni
soggettive, consente loro di portarsi al di là delle determinazioni
culturali e storiche e di incontrasi nella valutazione del valore e
della sostanza delle cose”. (C. in v. par. 4). Nel rapporto lógos
/diá-lógos sta l’originale contributo politico dei cristiani
nell’agone pubblico. Contributo politico nel senso della costante
tensione alla costruzione del bene comune. “Senza verità, senza
fiducia e amore per il vero, non c’è coscienza e responsabilità
sociale, e l’agire sociale cade in balia di privati interessi e di
logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società, tanto più
in una società in via di globalizzazione, in momenti difficili come
quelli attuali.” (C. in v., parg 5). E’ il “processo di
argomentazione sensibile alla verità”, di cui Ratzinger parlò nel
dialogo con Habermas, che realisticamente fa da argine permanente
alla parzialità del potere di cui è intrisa la dialettica
partitico-politica. Per Papa Benedetto il Lógos è ragione
creatrice. Partecipe di questa ragione, in quanto rapporto con
l’Infinito, l’uomo instancabilmente, tra contraddizioni e limiti,
cadute e ricadute, sospinto dalla passione per il vero, crea, genera
civiltà, alimentando il bene comune. “Volere il bene comune è
esigenza di giustizia e di carità” (C. in v., par. 7). “Da una
parte, la giustizia: il riconoscimento ed il rispetto dei diritti
degli individui e dei popoli. Dall’altra, la carità supera la
giustizia e la completa nella logica del dono e del perdono”. (C.
in v., par. 7). Entro questa logica si inseriscono le copiose forme
di economia del dono presenti oggi nella società e nel mercato, come
abbiamo evidenziato nella precedente trattazione, sottolineandone il
valore economico-culturale. “La carità nella verità pone l’uomo
davanti alla stupefacente esperienza del dono”. (C. in v., par.
34). Questa stupefacente esperienza che si sorprende in sé, grazie
ad una sovrabbondante intensità di vita, di cui è espressione il
fatto storico di Cristo nella società, genera, per
sovrabbondanza, un indomabile lavoro per il bene comune, abbracciando
e valorizzando ogni tentativo autenticamente umano. “Impegnarsi per
il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi,
dall’altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano
giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere
sociale, che in tal modo prende forma di polis, di città. Si ama
tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per
un bene comune rispondente anche ai suoi bisogni. Ogni cristiano è
chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione e secondo le
sue possibilità di incidenza nella polis. E’ questa la via
istituzionale – possiamo anche dire politica – della carità, non
meno qualificata ed incisiva di quanto lo sia la carità che incontra
il prossimo direttamente, fuori delle mediazioni istituzionali della
polis. Quando la carità lo anima, l’impegno per il bene comune ha
una valenza superiore a quella dell’impegno soltanto secolare e
politico. Come ogni impegno per la giustizia, esso si inscrive in
quella testimonianza della carità divina che, operando nel tempo,
prepara l’eterno. (C. in v., par. 7).

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