lunedì 19 agosto 2019

Nacque il tuo nome da ciò che fissavi

Nel componimento poetico di Karol Wojtyla “La redenzione cerca la tua forma per entrare nell’inquietudine di ogni uomo”, si staglia il profilo della Veronica, che nella folla si apre un varco: “ti apristi un varco ad un tratto o te lo aprivi dall’inizio?” … Nacque il tuo nome da ciò che fissavi”. Nella parte iniziale del componimento, la descrizione di un’attesa, di una presenza che ci attende: “Attendo qui le tue mani cariche dei lavori d’ogni giorno, attendo qui le tue mani che reggono un semplice panno. Nel paese dei più profondi significati porta le tue mani, Veronica, porta le tue mani e tocca il volto dell’uomo”. Ci soffermiamo sulle “mani cariche dei lavori d’ogni giorno”. Nella poetica wojtyliana, centrale è l’esperienza del lavoro. Numerose e belle le poesie dedicate al tema: “Le mani sono il paesaggio del cuore”, descrivendo poeticamente l’opera dell’uomo. “Le mani sono un paesaggio. Quando si spaccano, nelle piaghe sale il dolore e scorre libero, a fiotti. Eppure l’uomo non pensa al dolore. Non con questo dolore coincide la grandezza: la grandezza dell’uomo, di cui egli stesso ignora l’esatta definizione” (K. Wojtyla, Materia, In Il Sapore del Pane, Libreria Editrice Vaticana). Quando Wojtyla tornò in Polonia da Papa ricordò che nelle cave Solvay aveva “imparato nuovamente il Vangelo”: il “Vangelo del lavoro”. Molto è stato scritto sulle categorie filosofiche della “Laborem exercens” di Giovanni Paolo II, focalizzando la soggettività umana nella distinzione tra lavoro in senso soggettivo ed in senso oggettivo. Probabilmente attende ancora di essere pienamente sviluppata la “teologia del lavoro” di cui l’enciclica è espressione. Ci aiuta in questa direzione la dimensione poetica/poietica della personalità di Wojtyla nella considerazione che per i Padri della Chiesa la teologia è la poesia stessa di Dio. Dunque, “le mani cariche dei lavori di ogni giorno” hanno bisogno di toccare un volto umano; un Volto da amare da cui trarre forza, energia, passione, intelligenza per compiere l’Opera, per preservare ed alimentare Ciò che si ama, per prendersi cura del bello, del buono, del giusto, del vero nelle persone che amiamo, introducendoci insieme “nel paese dei più profondi significati”. Nel lavoro, affermerà ripetutamente Giovanni Paolo II, l’uomo scopre e riscopre il significato stesso della vita. “Ormai sono tutti passati, tu resti sola. Su quel panno v’è il segno del contatto, lì ti ripari dalla tua stessa forma. Una forma di vita con cui non puoi sentirti d’accordo. Dalla crepa in cui sfugge quello che vi è di più intimo”. Al Meeting del 1982, Giovanni Paolo II ci esortò a costruire “nuove forme di vita per l’uomo”, sviluppando l’amicizia sociale che nasce dalla fede. Lungo gli anni, si è disteso il “filo d’oro” di quell’invito, cercando di costruire modalità e storie di lavoro nell’ambiente, fissando lo sguardo sul Fatto storico che ci attirava, attraendoci: l’evidenza di un di più di umano nella storia del carisma che abbiamo incontrato. Un “doppio movimento” che, con sorpresa e gratitudine, scopriamo nel presente delle nostre giornate, con cuore e mani pensanti. “La tua figura, Veronica, ancora si staglia sullo sfondo del giorno morente. Cerca la quiete nella fonte feconda. La chiamerò Redenzione. Il panno che fra le mani si oscura attira a sé tutta l’inquietudine del mondo. Ogni creatura chiederà della fonte feconda che da te sgorga, Veronica sorella. La Redenzione cercava la tua forma per entrare nell’inquietudine d’ogni uomo”.

Nessun commento:

Posta un commento