Nel componimento poetico di
Karol Wojtyla “La redenzione cerca la tua forma per entrare
nell’inquietudine di ogni uomo”, si staglia il profilo della
Veronica, che nella folla si apre un varco: “ti apristi un varco ad
un tratto o te lo aprivi dall’inizio?” … Nacque il tuo nome da
ciò che fissavi”. Nella parte iniziale del componimento, la
descrizione di un’attesa, di una presenza che ci attende: “Attendo qui le tue mani cariche dei
lavori d’ogni giorno, attendo qui le tue mani che reggono un
semplice panno. Nel paese dei più profondi significati porta le tue
mani, Veronica, porta le tue mani e tocca il volto dell’uomo”. Ci
soffermiamo sulle “mani cariche dei lavori d’ogni giorno”.
Nella poetica wojtyliana, centrale è l’esperienza del lavoro.
Numerose e belle le poesie dedicate al tema: “Le mani sono il
paesaggio del cuore”, descrivendo poeticamente l’opera dell’uomo.
“Le mani sono un paesaggio. Quando si spaccano, nelle piaghe sale
il dolore e scorre libero, a fiotti. Eppure l’uomo non pensa al
dolore. Non con questo dolore coincide la grandezza: la grandezza
dell’uomo, di cui egli stesso ignora l’esatta definizione” (K.
Wojtyla, Materia, In Il Sapore del Pane, Libreria Editrice Vaticana).
Quando Wojtyla tornò in Polonia da Papa ricordò che nelle cave
Solvay aveva “imparato nuovamente il Vangelo”: il “Vangelo del
lavoro”. Molto è stato scritto sulle categorie filosofiche della
“Laborem exercens” di Giovanni Paolo II, focalizzando la
soggettività umana nella distinzione tra lavoro in senso soggettivo
ed in senso oggettivo. Probabilmente attende ancora di essere
pienamente sviluppata la “teologia del lavoro” di cui l’enciclica
è espressione. Ci aiuta in questa direzione la dimensione
poetica/poietica della personalità di Wojtyla nella considerazione
che per i Padri della Chiesa la teologia è la poesia stessa di Dio.
Dunque, “le mani cariche dei lavori di ogni giorno” hanno bisogno
di toccare un volto umano; un Volto da amare da cui trarre forza,
energia, passione, intelligenza per compiere l’Opera, per
preservare ed alimentare Ciò che si ama, per prendersi cura del
bello, del buono, del giusto, del vero nelle persone che amiamo,
introducendoci insieme “nel paese dei più profondi significati”.
Nel lavoro, affermerà ripetutamente Giovanni Paolo II, l’uomo
scopre e riscopre il significato stesso della vita. “Ormai sono
tutti passati, tu resti sola. Su quel panno v’è il segno del
contatto, lì ti ripari dalla tua stessa forma. Una forma di vita con
cui non puoi sentirti d’accordo. Dalla crepa in cui sfugge quello
che vi è di più intimo”. Al Meeting del 1982, Giovanni Paolo II
ci esortò a costruire “nuove forme di vita per l’uomo”,
sviluppando l’amicizia sociale che nasce dalla fede. Lungo gli
anni, si è disteso il “filo d’oro” di quell’invito, cercando
di costruire modalità e storie di lavoro nell’ambiente, fissando
lo sguardo sul Fatto storico che ci
attirava,
attraendoci:
l’evidenza di un di più di umano nella storia del carisma che
abbiamo incontrato. Un “doppio movimento” che, con sorpresa e
gratitudine, scopriamo nel presente delle nostre giornate, con cuore
e mani pensanti. “La tua figura, Veronica, ancora si staglia sullo
sfondo del giorno morente. Cerca la quiete nella fonte feconda. La
chiamerò Redenzione. Il panno che fra le mani si oscura attira a sé
tutta l’inquietudine del mondo. Ogni creatura chiederà della fonte
feconda che da te sgorga, Veronica sorella. La Redenzione cercava la
tua forma per entrare nell’inquietudine d’ogni uomo”.

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