E.L.E.A. (ELaboratore Elettronico Aritmetico
(poi Automatico): il primo calcolatore commerciale a transistor del
mondo, progettato e costruito dalla Olivetti, tra la fine degli anni
50 e l’inizio degli anni 60, con acronimo dedicato alla polis di
Elea, alla Scuola eleatica. In Adriano Olivetti profonda era la sua
passione ad intraprendere, realizzando un modello aziendale fondato
sulle persone, sulla persona, sull’esperienza di comunità. Il
welfare aziendale trova in lui una originale e significativa
applicazione. Passione ed intelligenza creativa legata ai valori del
territorio, aprendo i territori agli innovativi processi di sviluppo
tecnologico ed economico, per creare e sviluppare lavoro.
Emblematica, dunque, la scelta di dedicare la creazione
dell’elaboratore elettronico aritmetico ad Elea, la città della
Magna Grecia, dove Parmenide avviò la straordinaria avventura del
pensiero umano con la riflessione sull’Essere. La RAI, nella serie
dedicata alle personalità dell’ingegno imprenditoriale, ha ben
messo in evidenza, nell’esperienza e nella cultura di Adriano
Olivetti, la forza creativa nascente dalla passione per l’Essere,
per l’Essere che vibra nel cuore di ciascun uomo come sete di
realizzazione di sé nell’opera, attraverso l’opera, contribuendo
al bene comune secondo la forma più alta, che è la creazione di
lavoro. Anni dopo, un altro ingegnere, dottore in filosofia, Sergio
Marchionne, avrebbe dedicato lo stabilimento FIAT di Pomigliano
d’Arco a Giambattista Vico, simbolo dell’ingegno
filosofico/storico creatore di civiltà. Una dedica che ha il valore
di ammonimento, di insegnamento, andando alla radice di una
prospettiva umana e dell’orgoglio da riscoprire, seguendo la via
filosofica e pratico/operativa della frontiera meridiana. All’origine
di una grande impresa c’è una grande filosofia, ossia la tensione
al vero che determina una visione, uno sguardo critico sulla realtà.
Indicando la prospettiva, Sergio Marchionne conferì dignità
industriale ad uno stabilimento ridotto ormai ai minimi termini. C’è
una scia comune, pur nella distanza del tempo, delle condizioni
storiche e delle progettualità nei due tentativi, perché pur sempre
di tentativi si tratta: la stima per l’umano, per la vis veri, per
il presentimento di verità che sprigiona una forza incredibile, che
muove l’ingegno e la fantasia; la stima per la ragione che tenta di
varcare i confini, creando. Manifestazione formidabile dell’ingegno
è la creazione del “linguaggio”. Nella filosofia vichiana della
storia, l’individuo, all’alba della sua storia umana, adopera
cenni, atti e gesti come “parole reali” (lingue mutoli),
introducendosi, in tal modo, alla scoperta del mondo, attraverso la
sua attività poietica di significazione e trasformazione
della realtà. “Dipoi la necessità dello spiegarsi per
comunicare le sue idee con altrui e, per inopia di parlari, lo
spirito tutto impiegato a pensare di spiegarsi, fa i mutoli
naturalmente ingegnosi, i quali si spiegano per cose ed atti
che abbiano naturali rapporti all’idee che vogliono essi
significare (Vico, Sn 1725). In ciò sta la politicità della
filosofia vichiana e della sua concezione dell’ingegno, in quanto
il “linguaggio”, seppure in forma embrionale, rappresenta
l’espressione del “senso comune”, rendendo possibile l’umana
convivenza. Lungo ed affascinante è l’itinerario di Vico nella
descrizione dell’ingegno umano. In questa trattazione, soffermiamo
la nostra attenzione sul legame ingegno/fantasia. “La fantasia è
l’occhio dell’ingegno”. Grazie ad essa allarghiamo l’orizzonte.
Basti pensare alla siepe nell’ “Infinito” leopardiano.
Sull’orizzonte allargato lavora l’ingegno, che pone la visione
nella giusta prospettiva, forgiando l’ars inveniendi come
inventività e come capacità di unire celermente cose distanti. Per
il nesso tra sensibilità, fantasia ed ingegno, si compie nel
soggetto un passo fondamentale nella “discoverta” del suo essere:
“Gli uomini prima sentono senza avvertire, dappoi avvertiscono con
animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura”.
(Sn, Libro primo, sezione seconda). Oggi, nell’epoca della società
dell’informazione e delle nuove tecnologie, abbiamo bisogno di
ricostruire il linguaggio di significazione del lavoro e
dell’intrapresa, ricomprendendone la “grammatica”. Da dove
ripartire? Il terreno più solido è sempre l’esperienza della
persona in azione, il “luogo” ove si rivela la sua struttura, la
tensione al compimento di sé, alla realizzazione della propria
specifica vocazione nel mondo. E’ la spinta scaturente da questa
vocazione la molla che fa scattare l’ingegnosità; è la tensione
all’Essere, la via dell’Essere (la dedica di Olivetti ad Elea) il
motore che accende il desiderio umano, esprimendosi come ingegno,
seguendo l’impeto della ragione alla scoperta, alla conoscenza, al
significato totale di aspetti della realtà. Percorsi che si
sviluppano grazie all’esempio non solo dei “capitani d’azienda,
ma soprattutto in virtù della capacità di fantasia, di laboriosità,
di sacrifico e di abnegazione, che quotidianamente vivono e
testimoniano i tantissimi “intraprenditori” nei nostri territori
e nelle comunità locali, generando bene comune. “Ingenii virtus
est invenire, ut est rationis perficere”. Scriviamo questi
“appunti” di filosofia sociale meridiana per il piacere di
introdurci in un gigantesco passo umanistico compiuto, nel corso
delle generazioni, nella nostra terra, rivisitando e ripercorrendo
“luoghi” ed itinerari del pensiero di straordinaria e
sorprendente attualità. Dal fondo di tutto ciò emerge il desiderio
di conoscere, incontrare e valorizzare tutto l’umano che ci
circonda, approfondendo le ragioni del bello, del vero, del buono. Ci
accompagna lo “sguardo poietico” del carisma che abbiamo
incontrato, seguendo il quale, per attrattiva e per immedesimazione,
siamo resi lieti nel contribuire a generare, pur approssimativamente,
nell’ambiente in cui operiamo “nuove forme di vita e di lavoro
per l’uomo.”

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