sabato 30 novembre 2019

E.L.E.A: appunti di filosofia meridiana dell’economia civile

E.L.E.A. (ELaboratore Elettronico Aritmetico (poi Automatico): il primo calcolatore commerciale a transistor del mondo, progettato e costruito dalla Olivetti, tra la fine degli anni 50 e l’inizio degli anni 60, con acronimo dedicato alla polis di Elea, alla Scuola eleatica. In Adriano Olivetti profonda era la sua passione ad intraprendere, realizzando un modello aziendale fondato sulle persone, sulla persona, sull’esperienza di comunità. Il welfare aziendale trova in lui una originale e significativa applicazione. Passione ed intelligenza creativa legata ai valori del territorio, aprendo i territori agli innovativi processi di sviluppo tecnologico ed economico, per creare e sviluppare lavoro. Emblematica, dunque, la scelta di dedicare la creazione dell’elaboratore elettronico aritmetico ad Elea, la città della Magna Grecia, dove Parmenide avviò la straordinaria avventura del pensiero umano con la riflessione sull’Essere. La RAI, nella serie dedicata alle personalità dell’ingegno imprenditoriale, ha ben messo in evidenza, nell’esperienza e nella cultura di Adriano Olivetti, la forza creativa nascente dalla passione per l’Essere, per l’Essere che vibra nel cuore di ciascun uomo come sete di realizzazione di sé nell’opera, attraverso l’opera, contribuendo al bene comune secondo la forma più alta, che è la creazione di lavoro. Anni dopo, un altro ingegnere, dottore in filosofia, Sergio Marchionne, avrebbe dedicato lo stabilimento FIAT di Pomigliano d’Arco a Giambattista Vico, simbolo dell’ingegno filosofico/storico creatore di civiltà. Una dedica che ha il valore di ammonimento, di insegnamento, andando alla radice di una prospettiva umana e dell’orgoglio da riscoprire, seguendo la via filosofica e pratico/operativa della frontiera meridiana. All’origine di una grande impresa c’è una grande filosofia, ossia la tensione al vero che determina una visione, uno sguardo critico sulla realtà. Indicando la prospettiva, Sergio Marchionne conferì dignità industriale ad uno stabilimento ridotto ormai ai minimi termini. C’è una scia comune, pur nella distanza del tempo, delle condizioni storiche e delle progettualità nei due tentativi, perché pur sempre di tentativi si tratta: la stima per l’umano, per la vis veri, per il presentimento di verità che sprigiona una forza incredibile, che muove l’ingegno e la fantasia; la stima per la ragione che tenta di varcare i confini, creando. Manifestazione formidabile dell’ingegno è la creazione del “linguaggio”. Nella filosofia vichiana della storia, l’individuo, all’alba della sua storia umana, adopera cenni, atti e gesti come “parole reali” (lingue mutoli), introducendosi, in tal modo, alla scoperta del mondo, attraverso la sua attività poietica di significazione e trasformazione della realtà. “Dipoi la necessità dello spiegarsi per comunicare le sue idee con altrui e, per inopia di parlari, lo spirito tutto impiegato a pensare di spiegarsi, fa i mutoli naturalmente ingegnosi, i quali si spiegano per cose ed atti che abbiano naturali rapporti all’idee che vogliono essi significare (Vico, Sn 1725). In ciò sta la politicità della filosofia vichiana e della sua concezione dell’ingegno, in quanto il “linguaggio”, seppure in forma embrionale, rappresenta l’espressione del “senso comune”, rendendo possibile l’umana convivenza. Lungo ed affascinante è l’itinerario di Vico nella descrizione dell’ingegno umano. In questa trattazione, soffermiamo la nostra attenzione sul legame ingegno/fantasia. “La fantasia è l’occhio dell’ingegno”. Grazie ad essa allarghiamo l’orizzonte. Basti pensare alla siepe nell’ “Infinito” leopardiano. Sull’orizzonte allargato lavora l’ingegno, che pone la visione nella giusta prospettiva, forgiando l’ars inveniendi come inventività e come capacità di unire celermente cose distanti. Per il nesso tra sensibilità, fantasia ed ingegno, si compie nel soggetto un passo fondamentale nella “discoverta” del suo essere: “Gli uomini prima sentono senza avvertire, dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura”. (Sn, Libro primo, sezione seconda). Oggi, nell’epoca della società dell’informazione e delle nuove tecnologie, abbiamo bisogno di ricostruire il linguaggio di significazione del lavoro e dell’intrapresa, ricomprendendone la “grammatica”. Da dove ripartire? Il terreno più solido è sempre l’esperienza della persona in azione, il “luogo” ove si rivela la sua struttura, la tensione al compimento di sé, alla realizzazione della propria specifica vocazione nel mondo. E’ la spinta scaturente da questa vocazione la molla che fa scattare l’ingegnosità; è la tensione all’Essere, la via dell’Essere (la dedica di Olivetti ad Elea) il motore che accende il desiderio umano, esprimendosi come ingegno, seguendo l’impeto della ragione alla scoperta, alla conoscenza, al significato totale di aspetti della realtà. Percorsi che si sviluppano grazie all’esempio non solo dei “capitani d’azienda, ma soprattutto in virtù della capacità di fantasia, di laboriosità, di sacrifico e di abnegazione, che quotidianamente vivono e testimoniano i tantissimi “intraprenditori” nei nostri territori e nelle comunità locali, generando bene comune. “Ingenii virtus est invenire, ut est rationis perficere”. Scriviamo questi “appunti” di filosofia sociale meridiana per il piacere di introdurci in un gigantesco passo umanistico compiuto, nel corso delle generazioni, nella nostra terra, rivisitando e ripercorrendo “luoghi” ed itinerari del pensiero di straordinaria e sorprendente attualità. Dal fondo di tutto ciò emerge il desiderio di conoscere, incontrare e valorizzare tutto l’umano che ci circonda, approfondendo le ragioni del bello, del vero, del buono. Ci accompagna lo “sguardo poietico” del carisma che abbiamo incontrato, seguendo il quale, per attrattiva e per immedesimazione, siamo resi lieti nel contribuire a generare, pur approssimativamente, nell’ambiente in cui operiamo “nuove forme di vita e di lavoro per l’uomo.”

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