venerdì 31 gennaio 2020

All’origine di una filosofia dell’intrapresa


Immagine da ilsole24ore.com.
Il discorso che Adriano Olivetti tenne ai lavoratori di Pozzuoli, in occasione dell’inaugurazione dello stabilimento nella città campana il 23 aprile 1955, è un esempio eloquente di filosofia dell’intrapresa orientata alla persona, alla comunità, alla città, al territorio. Filosofia dell’esperienza, ovvero uno sguardo critico, comprensivo e profondo sul vissuto quotidiano, personale e comunitario. Pubblichiamo ampi stralci del discorso, da “Città dell’uomo”, Edizioni di Comunità, per la straordinaria attualità e per sorprendente corrispondenza al cuore di ogni soggetto di intrapresa.

“Quando, quattro anni or sono, fu decisa la costruzione di questo stabilimento, la battaglia iniziata dalla fabbrica di Ivrea per diventare un’impresa internazionale era in pieno sviluppo. Il problema era già entrato da tempo nel nostro animo in tutta la sua dolorosa grandezza e quando ci pervenne un preciso invito da parte del Ministro dell’Industria, on. Campilli, oggi Ministro per il Mezzogiorno, questi non ebbe a trovare in noi troppe difficoltà nella sua generosa fatica. …. . Così la fabbrica di Ivrea, che usava assumere centinaia di operai ogni anno, si vide costretta, tra il ’52 e il ’54, per trasferire al Sud il suo potenziale di incremento produttivo, a ridurre o praticamente interrompere il ritmo delle assunzioni. Molti giovani non trovarono lavoro, moti padri dovettero attendere e ancora attendono che i figli possano conseguire una sistemazione, là dove essi stessi avevano passato gli anni migliori della loro vita. Ma nessuno ebbe a lamentarsi, nessuno indicò quale causa della sua condizione insoddisfatta, la creazione di questo stabilimento. Perché nella coscienza dei nostri operai del Canavese è vivo il senso di solidarietà con i fratelli della Campania, della Calabria, della Lucania. Nessuno ebbe a lamentarsi, adunque. E alla fine dell’anno scorso una politica audace nel piano, minuziosa nell’esecuzione, implacabile contro gli ostacoli, la politica della nostra direzione commerciale, ha creato le premesse per un balzo in avanti, che oggi la fabbrica, con un ingente sforzo di uomini e di mezzi, sta realizzando in tutti i suoi settori. I fatti salienti nella nostra industria sono quest’anno, nel campo commerciale, l’apertura di una nuova organizzazione di distribuzione nel Canada e nel campo produttivo, il definitivo assetto, la piena efficienza di questo stabilimento. L’apertura di uffici a Toronto e Montreal, è l’ultimo svolgimento di un’azione che, impostata fin dal lontano 1921 per portare i nostri prodotti sul mercato mondiale, doveva raggiungere soltanto negli anni più recenti una più compiuta espressione nella rete delle nostre quattordici società alleate, di cui tre nel Commonwealth Britannico, cinque in Europa e quattro nell’America Latina, coi cinque stabilimenti di Barcellona, Glasgow, Buenos Aires, Johannesburg, Rio de Janeiro, ed oltre tremila operai. Innalzare le nostre insegne a New York come a Francoforte, a Vienna come a San Francisco, a Rio de Janiero o a Città del Messico o nella lontana Australia, organizzare officine, istruire venditori, persuadere una clientela diffidente della bontà del prodotto italiano, garantire l’efficienza del personale, assicurare ovunque un servizio di assistenza tecnica, difendere sempre il livello artistico e l’omogeneità grafica delle nostre espressioni pubblicitarie, imporre ad ogni costo la lealtà dei nostri metodi commerciali, non fu cosa né facile né rapida. E questa lotta non avrà mai fine, poiché la concorrenza, le invenzioni, i perfezionamenti non hanno limiti e dovremo, sotto questo riguardo, non dar mai segni di stanchezza, alimentando di nuove forze tecniche i nostri laboratori, i nostri centri studi. Ma c’è fortunatamente qualcosa che abbiamo finalmente compiuto. Ed è la nostra rete di distribuzione mondiale. Aprendo i nostri uffici in Canada, possiamo considerare conclusa l’epoca dell’espansione territoriale e iniziata un’epoca di più raffinata penetrazione dei mercati. …. . Mi fermai un giorno a guardare le mura del nostro stabilimento, che nascondevano un segreto che mi premeva raggiungere. Quel segreto non era nuovo: esso stava di già racchiuso nel codice morale che l’industria, sotto la guida di mio padre, aveva stabilito e nel rigore scientifico che non era mai mancato all’ingegno italiano. Il segreto del futuro è fondato, dunque, sul dinamismo dell’organizzazione commerciale e del suo rendimento economico, sul sistema dei prezzi, sulla modernità dei macchinari e dei metodi, ma soprattutto sulla partecipazione operosa e consapevole di tutti ai fini dell’azienda. Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica? Possiamo rispondere: c’è un fine nella nostra azione di tutti i giorni, a Ivrea, come a Pozzuoli. E senza la piena consapevolezza di questo fine, è vano sperare il successo dell’opera che abbiamo intrapreso. Perché una trama ideale al di là dei principi dell’organizzazione aziendale ha informato per molti anni, ispirata dal pensiero del suo fondatore, l’opera della nostra Società. Il tentativo sociale della fabbrica di Ivrea, tentativo che non esito a dire ancora incompiuto, risponde ad una semplice idea: creare un’impresa di tipo nuovo al di là del socialismo e del capitalismo, giacchè i tempi avvertono con urgenza che nelle forme estreme in cui i due termini della questione sociale sono posti, l’uno contro l’altro, non riescono a risolvere i problemi dell’uomo e della società moderna. La fabbrica di Ivrea, pur agendo in un mezzo economico e accettandone le regole, ha rivolto i suoi fini e le sue maggiori preoccupazioni all’elevazione materiale, culturale, sociale del luogo ove fu chiamata ad operare, avviando quella regione verso un tipo di comunità nuova ove non ci sia più differenza sostanziale di fini tra i protagonisti delle sue umane vicende, della storia che si fa giorno per giorno, per garantire ai figli di quella terra un avvenire, una vita più degna di essere vissuta. La nostra Società crede perciò nei valori spirituali, nei valori della scienza, nei valori dell’arte; crede nei valori della cultura, crede, infine, che gli ideali di giustizia non possano essere estraniati dalle contese non ancora eliminate tra capitale e lavoro. Crede soprattutto nell’uomo, nella sua fiamma divina, nella sua possibilità di elevazione e di riscatto. Questo stabilimento riassume le attività e il fervore che animano la fabbrica di Ivrea. Abbiamo voluto ricordare nel suo rigore razionale, nella sua organizzazione, nella ripetizione esatta dei suoi servizi culturali ed assistenziali, l’assoluta indissolubile unità che la lega ad una tecnica che noi vogliamo al servizio dell’uomo, onde questi, lungi dall’esserne schiavo, ne sia accompagnato verso mete più alte, mete che nessuno oserà prefissare perché sono destinate dalla Provvidenza di Dio. Così, di fronte al golfo più singolare del mondo, questa fabbrica si è elevata, nell’idea dell’architetto, in rispetto della bellezza dei luoghi e affinchè la bellezza fosse di conforto nel lavoro di ogni giorno. Abbiamo voluto anche che la natura accompagnasse la vita della fabbrica. La natura rischiava di essere ripudiata da un edificio troppo grande, nel quale le chiuse muraglie, l’aria condizionata, la luce artificiale, avrebbero tentato di trasformare giorno per giorno l’uomo in un essere diverso da quello che vi era entrato, pur pieno di speranza. La fabbrica quindi fu concepita alla misura dell’uomo perché questi trovasse nel suo ordinario posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza. Per questo abbiamo voluto finestre basse e i cortili aperti e gli alberi nel giardino ad escludere definitivamente l’idea di una costruzione e di una chiusura totale. Talchè oggi questa fabbrica ha anche un altro valore esemplare per il futuro del nostro lavoro nel Nord e ci spinge a nuove realizzazioni, per creare nuovi ambienti che traggono da questa esperienza insegnamento per più felici soluzioni. … . In questa fabbrica meridionale rispettando, nei limiti delle nostre forze, la natura e la bellezza, abbiamo voluto rispettare l’uomo che doveva, entrando qui, trovare per lunghi anni tra queste pareti e queste finestre, tra questi scorci visivi, un qualcosa che avrebbe pesato, pur senza avvertirlo, sul suo animo. Perché lavorando ogni giorno tra le pareti della fabbrica e le macchine e i banchi e gli altri uomini per produrre qualcosa che vediamo correre nelle vie del mondo e ritornare a noi in salari che sono poi pane, vino e casa, partecipiamo ogni giorno alla vita pulsante della fabbrica, alle sue cose più piccole e alle sue cose più grandi, finiamo per amarla, per affezionarci ad essa e allora essa diventa veramente nostra, il lavoro diventa a poco a poco parte della nostra anima, diventa quindi una immensa forza spirituale….”.

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