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| Immagine da ilsole24ore.com. |
Il discorso che Adriano Olivetti tenne ai lavoratori di Pozzuoli, in
occasione dell’inaugurazione dello stabilimento nella città
campana il 23 aprile 1955, è un esempio eloquente di filosofia
dell’intrapresa orientata alla persona, alla comunità, alla città,
al territorio. Filosofia dell’esperienza, ovvero uno sguardo
critico, comprensivo e profondo sul vissuto quotidiano, personale e
comunitario. Pubblichiamo ampi stralci del discorso, da “Città
dell’uomo”, Edizioni di Comunità, per la straordinaria attualità
e per sorprendente corrispondenza al cuore di ogni soggetto di
intrapresa.
“Quando, quattro anni or sono, fu decisa la costruzione di questo
stabilimento, la battaglia iniziata dalla fabbrica di Ivrea per
diventare un’impresa internazionale era in pieno sviluppo. Il
problema era già entrato da tempo nel nostro animo in tutta la sua
dolorosa grandezza e quando ci pervenne un preciso invito da parte
del Ministro dell’Industria, on. Campilli, oggi Ministro per il
Mezzogiorno, questi non ebbe a trovare in noi troppe difficoltà
nella sua generosa fatica. …. . Così la fabbrica di Ivrea, che
usava assumere centinaia di operai ogni anno, si vide costretta, tra
il ’52 e il ’54, per trasferire al Sud il suo potenziale di
incremento produttivo, a ridurre o praticamente interrompere il ritmo
delle assunzioni. Molti giovani non trovarono lavoro, moti padri
dovettero attendere e ancora attendono che i figli possano conseguire
una sistemazione, là dove essi stessi avevano passato gli anni
migliori della loro vita. Ma nessuno ebbe a lamentarsi, nessuno
indicò quale causa della sua condizione insoddisfatta, la creazione
di questo stabilimento. Perché nella coscienza dei nostri operai del
Canavese è vivo il senso di solidarietà con i fratelli della
Campania, della Calabria, della Lucania. Nessuno ebbe a lamentarsi,
adunque. E alla fine dell’anno scorso una politica audace nel
piano, minuziosa nell’esecuzione, implacabile contro gli ostacoli,
la politica della nostra direzione commerciale, ha creato le premesse
per un balzo in avanti, che oggi la fabbrica, con un ingente sforzo
di uomini e di mezzi, sta realizzando in tutti i suoi settori. I
fatti salienti nella nostra industria sono quest’anno, nel campo
commerciale, l’apertura di una nuova organizzazione di
distribuzione nel Canada e nel campo produttivo, il definitivo
assetto, la piena efficienza di questo stabilimento. L’apertura di
uffici a Toronto e Montreal, è l’ultimo svolgimento di un’azione
che, impostata fin dal lontano 1921 per portare i nostri prodotti sul
mercato mondiale, doveva raggiungere soltanto negli anni più recenti
una più compiuta espressione nella rete delle nostre quattordici
società alleate, di cui tre nel Commonwealth Britannico, cinque in
Europa e quattro nell’America Latina, coi cinque stabilimenti di
Barcellona, Glasgow, Buenos Aires, Johannesburg, Rio de Janeiro, ed
oltre tremila operai. Innalzare le nostre insegne a New York come a
Francoforte, a Vienna come a San Francisco, a Rio de Janiero o a
Città del Messico o nella lontana Australia, organizzare officine,
istruire venditori, persuadere una clientela diffidente della bontà
del prodotto italiano, garantire l’efficienza del personale,
assicurare ovunque un servizio di assistenza tecnica, difendere
sempre il livello artistico e l’omogeneità grafica delle nostre
espressioni pubblicitarie, imporre ad ogni costo la lealtà dei
nostri metodi commerciali, non fu cosa né facile né rapida. E
questa lotta non avrà mai fine, poiché la concorrenza, le
invenzioni, i perfezionamenti non hanno limiti e dovremo, sotto
questo riguardo, non dar mai segni di stanchezza, alimentando di
nuove forze tecniche i nostri laboratori, i nostri centri studi. Ma
c’è fortunatamente qualcosa che abbiamo finalmente compiuto. Ed è
la nostra rete di distribuzione mondiale. Aprendo i nostri uffici in
Canada, possiamo considerare conclusa l’epoca dell’espansione
territoriale e iniziata un’epoca di più raffinata penetrazione dei
mercati. …. . Mi fermai un giorno a guardare le mura del nostro
stabilimento, che nascondevano un segreto che mi premeva raggiungere.
Quel segreto non era nuovo: esso stava di già racchiuso nel codice
morale che l’industria, sotto la guida di mio padre, aveva
stabilito e nel rigore scientifico che non era mai mancato
all’ingegno italiano. Il segreto del futuro è fondato, dunque, sul
dinamismo dell’organizzazione commerciale e del suo rendimento
economico, sul sistema dei prezzi, sulla modernità dei macchinari e
dei metodi, ma soprattutto sulla partecipazione operosa e consapevole
di tutti ai fini dell’azienda. Può l’industria darsi dei fini?
Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è
al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una
destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?
Possiamo rispondere: c’è un fine nella nostra azione di tutti i
giorni, a Ivrea, come a Pozzuoli. E senza la piena consapevolezza di
questo fine, è vano sperare il successo dell’opera che abbiamo
intrapreso. Perché una trama ideale al di là dei principi
dell’organizzazione aziendale ha informato per molti anni, ispirata
dal pensiero del suo fondatore, l’opera della nostra Società. Il
tentativo sociale della fabbrica di Ivrea, tentativo che non esito a
dire ancora incompiuto, risponde ad una semplice idea: creare
un’impresa di tipo nuovo al di là del socialismo e del
capitalismo, giacchè i tempi avvertono con urgenza che nelle forme
estreme in cui i due termini della questione sociale sono posti,
l’uno contro l’altro, non riescono a risolvere i problemi
dell’uomo e della società moderna. La fabbrica di Ivrea, pur
agendo in un mezzo economico e accettandone le regole, ha rivolto i
suoi fini e le sue maggiori preoccupazioni all’elevazione
materiale, culturale, sociale del luogo ove fu chiamata ad operare,
avviando quella regione verso un tipo di comunità nuova ove non ci
sia più differenza sostanziale di fini tra i protagonisti delle sue
umane vicende, della storia che si fa giorno per giorno, per
garantire ai figli di quella terra un avvenire, una vita più degna
di essere vissuta. La nostra Società crede perciò nei valori
spirituali, nei valori della scienza, nei valori dell’arte; crede
nei valori della cultura, crede, infine, che gli ideali di giustizia
non possano essere estraniati dalle contese non ancora eliminate tra
capitale e lavoro. Crede soprattutto nell’uomo, nella sua fiamma
divina, nella sua possibilità di elevazione e di riscatto. Questo
stabilimento riassume le attività e il fervore che animano la
fabbrica di Ivrea. Abbiamo voluto ricordare nel suo rigore
razionale, nella sua organizzazione, nella ripetizione esatta dei
suoi servizi culturali ed assistenziali, l’assoluta indissolubile
unità che la lega ad una tecnica che noi vogliamo al servizio
dell’uomo, onde questi, lungi dall’esserne schiavo, ne sia
accompagnato verso mete più alte, mete che nessuno oserà prefissare
perché sono destinate dalla Provvidenza di Dio. Così, di fronte al
golfo più singolare del mondo, questa fabbrica si è elevata,
nell’idea dell’architetto, in rispetto della bellezza dei luoghi
e affinchè la bellezza fosse di conforto nel lavoro di ogni giorno.
Abbiamo voluto anche che la natura accompagnasse la vita della
fabbrica. La natura rischiava di essere ripudiata da un edificio
troppo grande, nel quale le chiuse muraglie, l’aria condizionata,
la luce artificiale, avrebbero tentato di trasformare giorno per
giorno l’uomo in un essere diverso da quello che vi era entrato,
pur pieno di speranza. La fabbrica quindi fu concepita alla misura
dell’uomo perché questi trovasse nel suo ordinario posto di lavoro
uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza. Per questo
abbiamo voluto finestre basse e i cortili aperti e gli alberi nel
giardino ad escludere definitivamente l’idea di una costruzione e
di una chiusura totale. Talchè oggi questa fabbrica ha anche un
altro valore esemplare per il futuro del nostro lavoro nel Nord e ci
spinge a nuove realizzazioni, per creare nuovi ambienti che traggono
da questa esperienza insegnamento per più felici soluzioni. … . In
questa fabbrica meridionale rispettando, nei limiti delle nostre
forze, la natura e la bellezza, abbiamo voluto rispettare l’uomo
che doveva, entrando qui, trovare per lunghi anni tra queste pareti e
queste finestre, tra questi scorci visivi, un qualcosa che avrebbe
pesato, pur senza avvertirlo, sul suo animo. Perché lavorando ogni
giorno tra le pareti della fabbrica e le macchine e i banchi e gli
altri uomini per produrre qualcosa che vediamo correre nelle vie del
mondo e ritornare a noi in salari che sono poi pane, vino e casa,
partecipiamo ogni giorno alla vita pulsante della fabbrica, alle sue
cose più piccole e alle sue cose più grandi, finiamo per amarla,
per affezionarci ad essa e allora essa diventa veramente nostra, il
lavoro diventa a poco a poco parte della nostra anima, diventa quindi
una immensa forza spirituale….”.

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