![]() |
| Rembrandt, Il ritorno del figliol prodigo. |
Il 3 ottobre dell’anno scorso, ad Assisi, presso la tomba di San Francesco, alla vigilia della Festa del Poverello, Papa Francesco ha firmato la Lettera enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale: “Fratelli tutti”. L’enciclica si apre con uno sguardo totale al mondo, incontrando i drammi, le paure, le guerre di colonizzazione armata ed anche “pacifica” delle coscienze e di interi popoli. Ma tutto ciò non è l’ultima parola sulla storia: “Malgrado queste dense ombre, che non vanno ignorate, nelle pagine seguenti desidero dare voce a tanti percorsi di speranza” [1]. Il Papa richiama quanto è emerso e quanto sta emergendo in questo tempo attraversato dalla pandemia: le testimonianze di coloro che si sono sacrificati per il bene dell’altro, dando la propria vita non solo nell’estremo sacrifico, ma spendendo quotidianamente tutto se stessi per accogliere, per guarire, per trasportare cibo, per assicurare i servizi essenziali: persone non note che hanno scritto la storia di questi terribili giorni e la storia del nostro stesso futuro. In questo drammatico contesto storico, alla luce delle immagini viventi della speranza, negli occhi degli uomini e delle donne che si sono chinati sull’altro, Papa Francesco ci fa nuovamente incontrare quell’estraneo sulla strada e Quel Viandante che a lui si affianca, affiancandosi ad ogni uomo, Compagno dell’uomo in cammino, per curarlo, sostenerlo; risanando, nel contempo, dalla meschinità che fa voltare lo sguardo dall’altra parte, che ci fa passare dritto, incuranti del bisogno dell’altro, come i personaggi della parabola. In compagnia del Viandante di Samaria, si dilata il modo di “pensare” nella scoperta del nostro vero volto umano, generando intorno a noi “un mondo aperto”. E’ con il cuore e lo sguardo del Viandante che il Papa, sulle orme di Francesco in visita al Sultano Malik-al Kamil in Egitto, “stimolato in modo speciale dal Grande Imam Al-Tayyeb”, intraprende il lungo viaggio per la pace e la fraternità tra i popoli, incrociando, in un certo senso, l’itinerario del Sindaco Santo di Firenze Giorgio La Pira, che avviò i “colloqui per la pace”, nel flusso della grande tradizione italiana del cattolicesimo politico sullo scacchiere internazionale. Nella presente riflessione ci soffermiamo sulle considerazioni che l’enciclica dedica alla politica. Ispirandosi alla celebre affermazione di Paolo VI (“La politica è la forma più alta di carità”), Papa Francesco afferma: “E’ carità stare vicino ad una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con la persona, per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza. Se qualcuno aiuta un anziano ad attraversare un fiume – e questo è squisita carità –, il politico gli costruisce un ponte, e anche questo è carità. Se qualcuno aiuta un altro dandogli da mangiare, il politico crea per lui un posto di lavoro, ed esercita una forma altissima di carità che nobilita la sua azione politica” [2]. Alla luce di questa altissima vocazione della politica, il Papa rilegge la categoria di popolo, in quanto la politica e’ “servire il popolo”. Val la pena riportare l’intero paragrafo della “Fratelli tutti”: “Popolo non è una categoria logica, né una categoria mistica […] E’ una categoria mitica. Quando spieghi che cos’è un popolo usi categorie logiche perché lo devi spiegare: ci vogliono, certo. Ma non spieghi così il senso di appartenenza al popolo. La parola popolo ha qualcosa di più che non può essere spiegato in maniera logica. Essere parte del popolo è far parte di un’identità comune fatta di legami sociali e culturali. E questa non è una cosa automatica, anzi: è un processo lento, difficile […] verso un progetto comune” [3].
In ciò riecheggia l’amore all’appartenenza storico-culturale del Pontefice ed il suo personale contributo di pensiero ad una filosofia della storia dei popoli latinoamericani, con specifico riferimento al rinascimento della nazione argentina. Ci piace richiamare il testo “Nosotros como ciudadanos, nostro como pueblo” (Noi come cittadini, noi come popolo) del Cardinale Bergoglio, in occasione della XIII Giornata di Pastorale Sociale, organizzata dalla Commissione di Pastorale Sociale dell’Arcidiocesi di Buenos Aires, svoltasi nel santuario di san Cayetano de Liniers il 16 ottobre 2010, per il bicentenario dell’Argentina: “La storia la costruiscono le generazioni che si succedono nell’ambito di un popolo in cammino. Per questo ogni sforzo individuale – per quanto prezioso –, ogni tappa di governo che si avvicenda – per quanto significativa possa essere stata – e gli avvenimenti e i processi storici che nel tempo forgiano la storia di un popolo – portatore di vita e di cultura – non sono altro che parti di un complesso e diverso che interagisce nel tempo: un popolo che lotta per un senso, che lotta per un destino, che lotta per vivere con dignità” [4]. Lungo questa scia, il Papa rilegge la storia e la cultura dei popoli, condividendo drammi e speranze, sostenendo il cammino umano di difesa e valorizzazione dell’identità particolare ed, al tempo stesso, universale di ciascun popolo. Nella categoria di popolo, come sopra espressa, intravediamo, altresì, nella valorizzazione dei “legami sociali e culturali”, l’intuizione popolare della migliore tradizione del cattolicesimo politico italiano, che portò alla definizione costituzionale dei corpi intermedi quale fulcro della democrazia. E’ nella ripresa di tali soggetti autonomi la forza dell’iniziativa popolare nella sfera pubblica: esperienze e cantieri di amicizia sociale, di solidarietà produttiva, di cooperazione socio-istituzionale, di fraternità anche in campo economico: “Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica” [5]. Attraverso queste modalità di lavoro comune si esprime e realizza il protagonismo in atto delle forze intermedie. L’iniziativa pubblica dei corpi intermedi è la questione decisiva della democrazia, pur e soprattutto nel contesto di un panorama partitico-politico segnato da vuoto ed inconcludenza. “Non dobbiamo aspettare tutto da coloro che ci governano, sarebbe infantile”, ammonisce Papa Francesco. “Godiamo di uno spazio di corresponsabilità capace di avviare e generare nuovi processi e trasformazioni” [6], con la forza del dialogo che artigianalmente costruisce nuove forme di incontro e di impegno. La forza del dialogo. Ma dove essa si radica? “Parliamo di un dialogo che esige di essere arricchito e illuminato da ragioni, da argomenti razionali, da varietà di prospettive, da apporti di diversi saperi e punti di vista, e che non esclude la convinzione che è possibile giungere ad alcune verità fondamentali che devono e dovranno essere sempre sostenute. … Accettare che ci sono alcuni valori permanenti, benché non sia sempre facile riconoscerli, conferisce solidità e stabilità a un’etica sociale […] Li riconosciamo come valori che trascendono i nostri contesti e mai negoziabili. […] Nella realtà stessa dell’essere umano e della società, nella loro natura intima, vi è una serie di strutture di base che sostengono il loro sviluppo e la loro sopravvivenza” … conferendo “una salda e stabile validità universale ai principi etici basilari e non negoziabili, così da poter impedire nuove catastrofi”. Papa Francesco ci esorta a compiere un lavoro: approfondire, secondo l’argomentazione pienamente razionale, il “fondo” della natura umana da cui emergono i fondamenti razionali della convivenza, scoprendo le “strutture di base” costitutive della persona, in forza delle quali, pur tra cadute e ricadute, gli uomini danno forme sociali alla loro tensione verso il vero, il bene, il giusto. “Ciò che chiamiamo verità [...] è anzitutto la ricerca dei fondamenti più solidi che stanno alla base delle nostre scelte e delle nostre leggi. Questo implica accettare che l’intelligenza umana può andare oltre le convenienze del momento e cogliere alcune verità che non mutano, che erano verità prima di noi e lo saranno sempre. Indagando sulla natura umana, la ragione scopre valori che sono universali, perché da essa derivano [7]. “La verità, infatti, è lógos che crea diá-logs e quindi comunicazione e comunione”, aveva scritto Papa Benedetto XVI nella Caritas in veritate [8]. Un brano del già citato testo “Noi come cittadini, noi come popolo”, illumina ulteriormente il lavoro di “andare oltre le convenienze e cogliere verità che non mutano: “La sfida di essere cittadino, oltre ad essere un dato antropologico, si inquadra nell’orizzonte del politico. Si tratta infatti della chiamata e del dinamismo della bontà, che si dispiega verso l’amicizia sociale. E non si tratta di un’idea astratta di bontà, di una riflessione teorica che fonda un vago concetto di etica, un “eticismo”, ma di un’idea che si sviluppa nel dinamismo del bene, nella natura stessa della persona, nelle sue attitudini” [4]. In questa tensione al vero bene, inscritta nella natura della persona e nelle sue attitudini, sta la possibilità dell’etica e quindi dei valori su cui costruire la società, sino all’affermazione di valori non negoziabili, dando continuo vigore alla democrazia. Per dar forza alla democrazia, irrobustendo incessantemente il suo fondamento, Papa Francesco richiama un “testo memorabile” (così da lui definito) di Giovanni Paolo II nella Centesimus annus, che per esteso riporta nella “Fratelli tutti”: “Se non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini”. […] e trionfa la forza del potere. La radice del moderno totalitarismo è, dunque, da individuare nella negazione della trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile e, proprio per questo, per sua stessa natura, soggetto di diritti che nessuno può violare: né l’individuo, né il gruppo, né la classe, né la Nazione o Stato. Non può farlo nemmeno la maggioranza di un corpo sociale, ponendosi contro la minoranza, emarginandola, opprimendola, sfruttandola o tentando di annientarla” [9]. Concludendo questo itinerario all’interno dell’enciclica, riprendiamo l’interrogativo fondamentale di Papa Francesco: “E’ possibile prestare attenzione alla verità, cercare la verità che risponde alla nostra realtà più profonda?” [10] E’ la domanda decisiva per la persona e per la società: meno di questa “pro-vocazione” si precipita nell’umanitarismo vuoto privo di fecondità e di storia. Diciamo così: Francesco contro il relativismo; oppure: Francesco contro Pelagio.
La proposta cristiana è l’invito a verificare la corrispondenza della fede alla “nostra realtà più profonda”, mostrando la ragionevolezza e la verità della proposta attraverso lo svelamento dell’umano che è in noi. Grazie all’esperienza di intensità umana, vissuta in una realtà di amicizia e di comunione, la persona diventa protagonista nella costruzione della “civiltà della verità e dell’amore”, per il dilatarsi, in forme contingenti e provvisorie, anche minute, della Gioia del Vangelo, che coinvolge ed abbraccia chiunque incontri lungo il cammino. Così il Cardinale Bergoglio concluse la sua preghiera per il bicentenario dell’Argentina: “Tu ci convochi. Siamo qui, Signore, vicini a Maria, che da Lujan ci dice: Argentina! Canta e cammina. Gesù Cristo, Signore della storia, abbiamo bisogno di Te”.
[1] Fratelli tutti, par. 54
[2] Fratelli tutti, par. 186.
[3] Fratelli tutti, par. n. 158.
[4] Jorge Mario Bergoglio, Noi come cittadini, noi come popolo, Libreria Editrice Vaticana. Editoriale Jaca Book, prima edizione italiana marzo 2013.
[5] Caritas in veritate, in Fratelli tutti, par. 168.
[6] Fratelli tutti., par. 77
[7] Fratelli tutti, par. 208.
[8] Caritas in veritate, par. 4
[9] Centesimus annus, par. 44, in Fratelli Tutti, par. 273.
[10] Fratelli Tutti. par. 207).

bravo
RispondiElimina